AL MIO PAESE C'ERA
Ricordi di fatti, avvenimenti e personaggi a cura di Ninì Pellicanò Il corvo e …. le campane Secondo eminenti , capaci e moderni scienziati , è possibile giungere nel proprio sub-conscio , quasi automaticamente ed anche nel profondo del s.c., se il " ricordo" viene evocato , in maniera automatica, da fatti esterni o anche da emozioni prodotte da "fatti esterni " Da alcuni anni il Dr. N. G., a Fossato, teneva un corvo legato alla catena . L’animaletto saltellava spesso sopra una cisterna di zinco facendo rumori e di tanto in tanto accennava anche a qualche monosillabo (senza molta grazia, come può un corvo): " ni ...co...la...". Non credo che vi abbiano dedicato molto tempo per insegnargli a parlare : Vado a Fossato almeno una volta la settimana e mentre passo, proprio a qualche metro dalla strada il corvo. Lo avevo notato e fatto notare, da qualche tempo: cominciava a perdere piume e penne il piumaggio non era lucido aveva delle "bozze" sulle zampette, " ma non devo fare il Veterinario!" Qualche giorno fa mentre passo quasi mi sento male! Perché ? Perché il corvo non c’è più: è morto? se n’è andato? In attesa di chiedere, mentre entro in casa, comincio a riflettere " eppure era legato alla catena non può essere scappato "faceva i suoi rumori ed i suoi esercizi di dizione, ma sempre legato alla catena! Mi soffermo un attimo, quasi ad occhi chiusi: attenzione allo spasimo, sforzandomi di risentire - nella mente, nei sentimenti, non attraverso " incudine e martello" quei rumori, quei tentativi di monosillabi e rivedo un’altra scena, a me familiare, circa 60 anni fa . Epoca : tra il 1936 ed il 1940. Perché questa precisazione ? Prima del 1936, non avrei avuto "capacità" di ricordare tanti dettagli, proprio perché difficilmente vedevo quei luoghi: non ci andavo. Prima del 1940, eh? Perché la guerra! Quella si che la ricordo e che tante altre persone l’hanno sofferta ! Motivo: si stava provvedendo a restaurare - forse restauro conservativo? O forse aiuti che giungevano Mussolini, per farsi perdonare tante cose, si diceva era prodigo per le Chiese. La Chiesa Parrocchiale era stata adattata ad uso temporaneo "a bbrijattera i ddon Pippinu ". Luoghi: "a bbrijattera ..." un capannone proprio vicino, vicino alla Casa Canonica allora bbarracca, di sole due stanzette e cucinino, con uno spazio esterno in terra battuta, una pergola di buona uva ed un "casotto" per uso WC . Il Dittereo: Sac. Don Giacinto Gullì: alto, elegante, di famiglia molto, molto benestante, già Parroco a Pentidattilo (credo abbia succeduto o forse preceduto? il Beato Padre Gaetano Catanoso) preferiva starsene nella sua abitazione, in alto nel rione "Gguardiola?", soprattutto perché lassù disponeva dei domestici del fratello Medico ed aveva anche la sua libertà di sparare a qualche passerotto mettendosi una benda su un occhio per prendere la mira! ma in pratica era sempre in piazza a parlare, ammaestrare, educare, come si deve e con la capacità e l’affetto del Prete, ma anche, e, perché no! di discutere la tale o tal’altra disposizione di Mussolini. Insomma anche a Fossato c’era gente che aveva, per così dire le tasche piene. Liberata la Chiesa dagli arredi sacri, per i lavori: tutto portato in Casa Canonica, che serviva anche da Sacrestia. Ognuno aveva ripreso la sua sedia. A quei tempi e credo fino a molti anni dopo guerra ogni mamma di famiglia aveva la sua sedia in Chiesa, sempre a quel posto, con un segno particolare. Adattato un tavolino (na bbuffetta) per Altare e, il Sacerdote veniva già "vestito" con i paramenti sacri dalla canonica: venti passi in tutto! Accanto, - nel senso di limitrofa -, alla casa Canonica, la casa del Cav. Leonardo Tripodi - ancora "appaltatore" delle riscossioni dei tributi comunali e, pericò chiamato u satturi, era padre del Medico Condotto Paolo, del Giudice Antonino (Ninì) di Don Micuzzu, che non aveva voluto consumarsi sui libri, e di Pietro (Petruzzu) ancora studente universitario di agraria? Ricordo il suo cappello universitario (la Feluca?), di un colore tra il fuxia - moderno - ed il viola chiaro. La casa du zzi satturi aveva - ed ha tuttora - una porta che dà sulla stradella che passa sotto la canonica , allora recintata con un muro molto alto, per noi bambini! All’esterno della porta c’era uno spazio, vagamente triangolare e qualche gradino per raggiungere il piano strada e là, in quello spazio viveva, libero (liberto , non schiavo) un corvo dal piumaggio lucidissimo, nero! dai riflessi violacei Non so come era arrivato - e non m’interessa saperlo! - so che era libero, senza catene, senza obblighi, se non quelli che egli (posso dirlo?) stesso decideva di osservare. Lo vedevamo volare per le sue esercitazioni o, per le perlustrazioni a difesa del territorio, non avevamo paura, lo vedevamo camminare, goffo, strano, muovendosi - ma credo sia normale per un volatile - prima la parte destra, poi la parte sinistra in maniera strana, ma simpatica Ma mentre camminava non è che familiarizzasse con noi bambini, anzi! ci teneva alla "sua dignità" Le campane erano state, temporaneamente, attaccate ad una traversa della pergola davanti alla canonica. La pergola aveva una o due traverse di "ferro", come di rotaia ferroviaria, probabilmente, materiale giunto in paese con il tavolame per la costruzione delle bbarracchi (*), in seguito - chi sa quanto tempo dopo - al terremoto. La Campana "grande" don, don .... con un mozzicone di corda rigida appesa, solo per qualche metro, mentre la "campanella" din, din con una lunga corda ricurvata e legata alla traversa in modo da formare una ampia U . Il Corvo (ripeto liberto!) aveva anche imparato più di un monosillabo e, pur tenendosi a distanza rispondeva alle nostre sollecitazioni. Eh, di maestri ne aveva avuto! di quelli bravi! Ma non solo aveva imparato a suonar le campane ma non solo sapeva quand’è ora di suonarle ma, dopo aver chiesto il permesso (metaforicamente) al Sig. Dittereo e, andava a piedi, sgraziato ma simpatico da casa sua fino in piazza, dove c’era il Sig. Dittereo ed altra gente ma lui, Cola (lo chiamavano tutti così), si avvicinava a strofinarsi con le scarpe del Sig. Dittereo. Ora non saprei se veniva sollecitato ad andarvi o se aveva, da solo, la sensibilità e la capacità E il Sig. Dittereo, sempre in un perfetto italiano: Cola, vai a suonare la prima, la seconda, " Chi è pratico di queste cose. E Cola, tornava, con i suoi passettini, verso la canonica, saltava sulla corda della campana e cominciava a dondolarsi fino a produrre il suono: don, don, don ..... (pausa) don ! (era la prima!), don, don! (per la seconda).Ma non solo, dopo aver suonato tornava dal Sig. Dittereo per ricevere il grazie, eccome tornava! Se potessi dire: " rivedo quell’intelligentone che fa la strada a salire e a scendere a piedi, quando poteva anche farsi un volo piccolo, piccolo. No! A piedi era in servizio! Presumo vi siano state anche scommesse e o. Me ne stavo sempre vicino al "mio nonno", caro amico del Sig. Dittereo e, forse coetaneo, correvano per gli ottanta, allora! Ma appena riesco a focalizzare tutto quanto, ecco arriva qualcuno, parla, fa rumori .... e mi riporta a questa realtà .... Ma quella, quella di 60 anni fa ... l’ho rivista! (*) Bbarracchi: in ogni rione c’era un gruppo di case di tavole a copertura a lamiera di zinco e, credo che qualcuna forse è ancora resiste al tempo. In " ogni rione " in pratica c’era una denominazione specifica pi bbarracchi che, comunque, ricordava l’epoca e il tipo di costruzione. I frutti dell’edera Avevo conosciuto l’edera ed i suoi frutti: un specie di grappoletto d’uva nerastra, nei primi anni del mia residenza presso i nonni, a S. Luca. C’era già accosto alla loro casa e, poi, c’era nelle alture, tra le rocce: nde rrocchi da bbuvera, e vigni randi, poderi in cui si andava spesso Avevo imparato che il succo poteva, in qualche modo, sostituire l’inchiostro: restava scritto, dopo asciugato, abbastanza per potersi leggere, piuttosto sbiadito, ma sufficientemente chiaro, restava. L'edera la chiamavamo, un po' affettuosamente, a rracinedda sarbaggia: l’uvetta selvatica.
A carcara - a petra caggina Ora, soltanto pochi sanno, cioè conoscono il significato di carcara, la fornace per produrre calce e, naturalmente non sanno come si procedeva. C’erano delle famiglie le quali mantenevano a tradizione, tramandandosi, di padre in figlio, i segreti del " mestiere". Quello che ricordo: ve n’erano molte di queste strutture, un po' simili ai nuraghi sardi, fatti soltanto in pietra: grossi massi di pietra, - spessore di base di almeno due metri, semplicemente "accostati" senza "legante" di calce con le fessure tappate con pietre e pietruzze che sopportavano enormi quantità di calore. Una parte, sopra terra, vagamente tronco-conica ed una parte interrata, a cielo aperto, ma con un "fornello" alla base: sia per l’ossigenazione che per l’alimentazione del combustibile. Alluvioni e/o periodi di temporali, negli anni passati ve n’erano di frequente: trascinavano a valle, nel greto degli attuali torrenti del Calamaci, del S.Pietro, (se ancora hanno gli stessi nomi o, se ancora qualcuno li ricorda con questi nomi) quantità enormi di vario materiale e, tra questo, delle pietre, grosse pietre particolari: petra caggina, adatte ad esser trasformate in calce. A petra caggina è una pietra giallastra porosa, senza forma particolare, che viene dalla montagna. Qualcuno direbbe resti alluvionali di milioni e milioni di anni fa. Cessato appena il mal tempo, intere famiglie "sciamavano" sul greto dei torrenti per raccogliere quelle pietre accantonandole a mucchietti vagamente conici e, poi, provvedevano a trasportarle, "sudor di fronte" alla sede. Sull’alveo dei torrenti ve n’erano di diversa forma e quantità, ma ognuno apparteneva ad una determinata famiglia, senza sbagliare! Queste pietre frammiste a (almeno cento fasci) fascine di ginestra e di varie stoppie, per la facilità di sistemazione, venivano stipate nella cella di combustione, dall’alto in basso. Certamente erano gli specialisti a far questo lavoro. S’impiegavano alcuni giorni per carricari a carcara ... e, poi si dava fuoco, dal basso verso l’alto. Naturalmente, sia in estate che in inverno, u hjaschettu e u bbumbuleddu: fiaschetta per il vino ed orciolo per l’acqua fresca! Fumo violaceo e odore di sudore, per molti giorni, e per tutte le valli! Ma, finito tutto e stabilito che il pietrame era cotto, si doveva provvedere a "scaricare" (c’era un verbo particolare che mi sfugge: probabilmente spundacari) la "calce viva". La sera prima, quest’operazione era stata annunciata con insistenza dai bbandiaturi, banditori. E ci si presentava con i mezzi di trasporto dell’epoca: asini, muli, donne di fatica e particolari ceste: cufineddi i lajnu. La calce viva era scelta di prima qualità, quelle pietre che erano state cotte ma restavano ancora intere, di seconda ... di terza. Andirivieni di gente e mezzi per il trasporto; breve sosta, o talvolta lunga, per attendere il proprio turno, nel pianoro antistante. Alcuni, per esser certi di potere scegliere "la prima qualità" - calce per gli intonaci - giungevano molto prima dell’alba. A fossa da caggi: era scavata una fossa nel terreto, piuttosto lunga, ma non molto larga. Vi si buttava dentro la pietra-calce e subito, un po' alla volta, dell’acqua: iniziava immediatamente a sfridere, a friggere a trasformarsi in una pasta giallo-biancastra piuttosto melmosa, che depositava sul fondo. Dal lato stretto veniva rimescolata, per prendere l’acqua, con una zappa dal manico molto lungo, sia i vapori che il contatto con quel materiale rovente e sprigionante enorme calore, era pericoloso. In definitiva diventava "calce spenta". Non risulta che, persone di saggia operosità, abbiano avuto conseguenze, ma qualcuno le ha avute. Qualcuno che, forse, è stato indotto, o "buttato", per vendetta?, per invidia? o per… tra quei tepori! Ricordo proprio questo, questo qualcuno che ci ha rimesso "la vista degli occhi" ed ha subito "bruciacchiature" in tutto il corpo. I proprietari erano molto capaci in questo pericoloso mestiere, avevano la pelle bruciata ed erano sensibilissimi al calore. Ma scaricata questa ...era già pensiero per la prossima, almeno fino al prossimo alluvione per reperire la materia prima. Le "donne di fatica" che trasportavano il peso in testa (a’n testa!) si proteggevano le spalle ed il collo con un robusto telo che spesso veniva bagnato. Ma qualche "diavoletto" che ha voluto fare uno "scherzo " ha rubato, fatto sparire il telo di qualcuna di esse, la quale, per non perdere il ritmo, ha trasportato alcuni viaggi senza protezione, subendone le conseguenze: le spalle e parte superiore degli omeri bruciati. E’ nata, dunque, la diceria: chidda puzza i caggi: quella tizia, per tutta la vita porterà quei segni e avrà sempre sentor di calce viva . A carcara da Nunziata: probabile che esista ancora il rudere. Era nella parte destra - guardarndo da monte a mare - situata in sorta di pianura ....- ora uliveto - a valle da hjumara di virgu ed apparteneva ad una certa famiglia che aveva l'abitazione accanto, ma a debita distanza, dalla struttura".
Il lupo del fiume Non esistevano vie di comunicazione: strade cioè quelle percorribili con mezzi di locomozione, a trazione animale, naturalmente. La Città si raggiungeva 1 - percorrendo viottoli o stradelle, attraverso i campi superando un’altitudine media s.l.m. di circa 900 - 1000 mt e ridiscendendo sul greto del torrente Valanidi, tempi medi: a piedi ed attraverso scorciatoie, di giorno: circa quattro ore; idem, di notte: circa mezz’ora in più ... a causa dell’illuminazione! con animali da soma carichi ...dalle cinque e mezza alle sei ore.... 2 - attraverso il greto del torrente S. Elia, raggiungendo la stazione F.S. di Saline e, quindi: il treno, un’ora circa ...il passaggio ferroviario. Questo percorso, a passo svelto e giovane e scorciatoie: anche circa tre ore. b) con il " carrozzino": il calesse, due in tutto nel Paese, circa quattr’ore, e con il carro trainato dai buoi ... addirittura sei ore! Grosso modo i due itinerari imponevano gli stessi tempi, soltanto che quello attraverso i campi era gratis e ma si giungeva abbastanza stanchi; via ferrovia, c’era da pagare il biglietto, ma si giungeva in Città relativamente rilassati sia per il tempo d’attesa che per quello - quasi sempre in piedi, per insufficienza di posti nei "trenini" che avevano fermata a Saline (*), ahinoi! solo alcuni durante la giornata, comunque, si arrivava rilassati! (*) La stazione F.S. di Saline è stata fino al 1942 ubicata in quel "casotto" a destra di chi percorre la S. S. 106, verso Melito, all’altezza del nuovo "svincolo" stradale per il paese e era soltanto un‘assuntoria" su binario unico. Diventata stazione a tutti gli effetti (incroci e precedenze), quando la gestione del traffico sul tratto ferrato è passata dalla Dirigenza Unica, con D.U. a Locri, alla Dirigenza locale, con Capo Stazione, responsabile, in ogni stazione . Ebbene in questa particolare situazione, mio Padre chiese ed ottenne nel 1927 - dal Circolo Concessioni Governative, con sede a Catanzaro per la Regione Calabra - la concessione per l’esercizio di un servizio automobilistico da Fossato a Reggio, per le vie percorribili, all’epoca: il greto del torrente fino Saline e quindi la S. S.106, sulla quale, però molti ponti non erano stati ricostruiti dopo il terremoto ed altri ancora non erano stati concepiti. Tempi medi, imposti dal Circolo, di circa due ore e mezza! Automezzo: a ) il primo: un furgone a benzina, di circa sedici posti realizzati con due sedili, imbottiti, longitudinali nel cassone e coperto abbastanza bene da un tendone. "Usato sicuro" anche allora, il mezzo era reduce di guerra, ma portava bene i suoi anni: messa in moto a manovella ...! Qualche annetto di questo stressante sali scendi attraverso l’acqua del torrente: guadi o percorso parallelo o dentro lo scorrimento dell’acqua soprattutto nei "restringimenti naturali del percorso" cosiddetti "stretto di Montebello lungo circa tre km e stretto di Pentidattilo: restringimenti naturali a circa tre metri il primo e poco meno il secondo, per una lunghezza, nel punto più stretto di alcune centinaia di metri; e, qui non la eviti l’acqua, ci devi guazzare dentro! Qualche annetto e poi il "mezzo" comincia a cedere, cade un pezzo alla volta: "polmoniti ... malattie di cuore.... di digestione"... provero furgone, bisogna metterlo a riposo. Dato a qualcuno per poche lire! ma non alla demolizione . Pensare per il seguito! La gestione aveva fruttato abbastanza, ma la gran parte delle risorse era stata spesa per le ultime riparazioni e, i tempi morti di sosta nelle varie officine, facevano pendere la bilancia verso il negativo. Si va un po' in giro con il naso in aria, attenti, se capitasse la buona occasione e, finalmente, si trova ... ma costa un po' troppo. Un ...parente ...si offre di partecipare .... mettendoci molta parte del capitale (senza comparire nei documenti ufficiali ...per le tasse!) ed il servizio ricomincia o, forse, non è stato mai interrotto per lungo tempo. A causa della limitata disponibilità e, visto che non esisteva alcuna possibilità di fare due volte al giorno e, si andava avanti con le prenotazioni - gratuite - ma sempre prenotazioni, le quali, non di rado, per il fatto che erano gratuite, si lasciavano perdere, con "perdita del traffico". E, le spese ....e i ...pranzi che ... il parente offriva, a nome della Ditta, e... le difficoltà - mondiali, d’altra parte - che hanno prodotto le crisi del 1929! ... e, quelle imposte dalla mentalità monopolistica dell’epoca: da Saline a Reggio, come da Melito o da Lazzaro c’è un servizio ferroviario, quindi nessun esercizio stradale e che si fa la concorrenza allo Stato? La licenza non era stata revocata soltanto che, di fatto, veniva impedito il servizio. E, il servizio viene abbandonato con l’inizio del 1929; il mezzo venduto ... ma a Papà resta la "concessione" ... nessuno sollecita .... il ripristino! Dal 1931 (?) qualcuno ottiene la licenza di "auto pubblica" da Montebello, che parte, "secondo necessità" a viaggio completo e garantito. Intanto la strada Saline - Montebello era stata ultimata. Ma anche da Montebello, un viaggio ogni tanti giorni a seconda delle prenotazioni solvibili, però! Questa licenza di "auto pubblica", come quella della concessione del servizio non sono mai state revocate! Per circa due anni, i primi della mia vita scolastica: percorso notturno Fossato Reggio. Partenza a mezzanotte e arrivo alle sette .... tanto si veniva all’inizio dell’anno scolastico, si andava per il "ponte dei morti". Partenza alle 14 ed arrivo con due ore di buio! e poi a Natale, a Pasqua ed a fine anno...., ma durante l’anno c’era chi doveva provvedere a rifornire di tutto! E una sera...una sera fonda del 1945 giungono a casa mia alcuni "amici" che vengono a proporre a Papà la costituzione di una società, ma occorrono soldoni. Loro ne hanno e, chiederebbero le condizioni paritarie indipendentemente dal possesso della licenza. Un modo per costringere a rifiutare! Con l’impegno che, se fosse stato interpellato, avrebbe risposto che ...ormai "non intende più esercitare". D’altra parte "consiglieri dal naso corto" hanno decretato che non "sarebbe stato un buon affare". E, la Ditta ...." ...." debutta nel mese di aprile 1946 con un mezzo da circa 30 posti, a "nafta" anch’esso, però, reduce dell’ultima guerra, ma ancora "in gamba", per qualche anno! ...il "21", un muso lungo che era condotto dal Sig. A. P., per tutti donn’Antoni a ragione della "sua personalità": era nato ed aveva vissuto alcuni anni negli Stati Uniti, ma, ma ...aveva fatto la sciocchezza di tornare in Italia ... in tempo in tempo per la guerra! Esercizio provvisorio - che durerà, poi, alcuni anni - da Montebello (partenza ore 6 - arrivo a Reggio ore 07,50) e da Reggio con part alle 14,10 ed arrivo a Montebello alle 16 circa ....e poi ... circa un’ora fino Fossato ed ancora altro per chi doveva raggiungere rioni periferici o borgate . Il "bigliettaio" era di Fossato: un giovane, reduce appena dalla prigionia che, una volta a casa, aveva ritrovato il suo "spirito allegro" e passava ore ed ore a cantare "all’alba se ne parte il marinaio".... che significava per tutti pronti! Partire per giungere in tempo per "la corriera", come, alcuni di fine palato, l’avevano nominata. Pur vero che la concessione era Fossato - Reggio, ma l’ultimo "pezzo" di strada , da Montebello a Fossato è stato realizzato appena nel 1956 (?). Ma quando qualcuno ha cominciato a "reclamare", la Ditta s’è attrezzata di un "residuato bellico" un dodge, made in USA ... un litro di benzina al chilometro, ma capace di superare tutte le asperità del terreno: di guadare, e/o percorrere lunghi tratti dentro l’acqua del torrente. Il furgone era stato provvisoriamente attrezzato con delle panche (di legno) e coperto da tendone. Ecco il lupo! Il "lupo del fiume", era stato battezzato questa specie di trabiccolo che, però, faceva il suo buon servizio. A condurlo era stato chiamato il Sig. D. M., soprannominato lupu; era bravo a saltare le fosse, ...quando non veniva sorpreso dal "colpo di sonno". Un mozzicone di sigaretta sempre pendente dalle labbra, la barba sempre incolta, parecchi buoni bicchieri e ...bestemmia frequente..... Ma durante tutto il suo servizio non è successo nulla di grave; ha saltato dirupi, ha urtato con il muso contro barriere naturali ( timpi ) ma tutti incolumi! Soltanto qualche scossone e probabilmente qualche leggerissima contusione! Lo stato dei lavori del tratto di " strada" Montebello - Fossato: si apre il primo tratto, fino al ponte di Virgo e, allora ? Per diverso tempo l’esercizio viene di nuovo affidato al vecchio "21", su strada fino a Virgo indi su....strada naturale: la fiumara! Alcune opere di un certo impegno: i ponti di Virgo, Pioppo e Calamaci hanno tenuto (e, spremuto parecchie centinaia di migliaia di lire ... allora non credo milioni!) i lavori "in corso" per molto tempo. Sono giunti al termine, quando ormai, l’auto personale era stata acquistata da molte famiglie del Paese....Eravamo già all’epoca della "mitica seicento". Si è intensificata l’offerta della Ditta .... più corse al giorno; corse per Melito; corse nelle ore comode per studenti, impiegati, operai e...corse straordinarie nel periodo di caccia ai tordi (marbizzi). Il titolo di "lupo del fiume" è rimasto al Sig. D. M. che ha condotto, poi, via via, altri mezzi, sempre più moderni e... poi ... comprati nuovi di fabbrica!" Quel "primo bigliettaio" appena possibile s’è cercato un posto nella Polizia di Stato, a cavallo, trasferendosi a Roma , dove è morto diversi anni fa. Gli altri autisti citati: morti! Vive soltanto - intorno agli 80 - il "bigliettaio della II^ generazione, per antonomasia: C. T. u bbigliettaiu. C’erano delle belle abitudini .......così come vengono " in mente "
1 - Le novene del S.Natale: Dal 16 al 24 dicembre...di ogni anno...anche se piove o fa tempesta: la S. Messa alle cinque di mattina - ancora almeno tre ore di notte - e....e gente che arriva dalle campagne, dai rioni ...ad un ’ora, un’ora e mezza di ...marcia...ma ci viene! Per farsi luce lungo i viottoli pedonali si usa un sistema ...come minimo ...greco ... d’epoca! Un ‘erba delle nostre campagne cresce con il fusticino di qualche cm di diametro, molto alta e quando è secca , naturalmente, diventa quasi legnosa - anche oltre i due metri - e nella parte terminale del fusto - che in dialetto chiamavamo ssiloni - (non riesce facile ricordare il nome italiano o, la posizione nella catalogazione di Linneo), insistono i fiorellini: moltissimi, gialli, con un buon nettare - che da bambini riuscivamo anche a succhiare - i quali seccati al fresco possono essere usati come "cerini" per le lampe ad olio...per gli Altari. Ebbene questi fusti, privati dei loro fiorellini , restano con una enorme quantità di " buchi " , cavità, avvallamenti : ottimi contenitori! e, basta intingerli nell’olio, naturalmente quello per uso saponificazione....e, poi accenderli...ed ecco,...ecco ...la "fiaccola greca"! Brucia molto lentamente ed illumina abbastanza. Può essere usata come fiaccola per più giorni consecutivi con lo stesso rifornimento, ma poi, diventa carbone e si butta via! La campagna è il nostro ...regno...dai cinque sei anni in poi ...e, impariamo a riconoscerli, questi fusti, trovarli ... tagliarli e portarli a casa, conservarli gelosamente nascosti, di solito dietro grandi cassapanche, e poi presentarli per l’uso e, per i complimenti del caso! "In itinere" diverse comitive si raggiungono, si raggruppano e giungono in chiesa cantando....ma poi, alla fine, escono e, vanno via di corsa e in silenzio. E’ l’alba ed è l’ora della partenza per il duro lavoro nei campi! In Chiesa si cantava (purtroppo ora è molto difficile trovare qualcuno che voglia ricordare quelle armonie) in dialetto la novena ed altre preghiere...e, si ascoltava la Messa - in latino - in rispettoso silenzio! Ciascun gruppo, di ciascun rione...e, solo per le Novene aveva una zona...della Chiesa...assegnata e ne era orgoglioso e responsabile e si adoperava per il rispetto dell’ordine e per tenere buoni i bambini (volavano anche ...ceffoni! secondo necessità), il canto armonioso. E, non che qualcuno di altro rione "rubasse" la nostra canzone!...era nostra, e, basta! E, noi, sapevamo rispettare la loro! 2 - Per la settimana Santa ....invece In Chiesa, per le Funzioni Sacre, si andava di sera dopo tornati dal lavoro e, rinfrescati per dire! Ma lo stesso mezzo d’illuminazione per il ritorno - quello delle Novene di Natale - con "un’ora di notte"...ma erano soltanto tre serate: Giovedì, Venerdì e Sabato. - Il giovedì si cantava u liroggiu: le ore della sofferenza di Cristo in dialetto: che cominciava...ahime! ...solo l’inizio: ...Sipritu Santu meu, datimi aiutu, mi m’arriggettu stu sensu nsinsatu ... ... a li tri uri Crist’era nd’all’ortu .... ...a li quattr’uri .... E’ probabile non fosse una "recita" imposta dalla Chiesa, ma era una saggia tradizione e come tale veniva rispettata. Una "prima voce" di donna, molto aspra della sofferenza, del dolore... ed il seguito di tutto il popolo....con gli intervalli che il Sacerdote riteneva di proporre ....mentre ...mentre altro Sacerdote... - ne veniva almeno uno, ogni anno, da .... - ...provvedeva ...ad " abosolvo a peccatis tuis ...." L’occasione del canto du liroggiu coinvolgeva molta gente ...che, veniva almeno una volta all’anno...a chiedere il perdono....e riappacificarsi con il Creatore. In serata, dopo il suddetto rituale, la processione ... soltanto al perimetro esterno della chiesa e, poi sera di Giovedì ....si preparava "il Sepolcro" con una quantità enorme di piatti, piattini e vari contenitori ...di ranu santu: del grano, orzo, lenticchie...seminato su bambagia di cotone bagnata e tenuto a germogliare in assenza di luce diretta .... normalmente dentro una cassa, chiusa, al buio! Restava di un bianco particolarmente carino con appena la punta di un verde molto delicato, naturalmente infiocchettato di nastri e nastrini. ...- era una buona occasione per le ragazze "da marito" di...farsi un po' di "pubblicità" ma, poi, alla luce, nel Sepolcro, dopo appena qualche ora...diventava verde ...via, via più verde! Il Venerdì le funzioni iniziavano già verso le 17 ...era, spesso, ancora quasi giorno.....Le campane tacevano, in segno di lutto. Le Funzioni venivano annunciate con il suono delle troccole - strumenti di legno...soltanto di legno...senza chiodi - che producevano una sorta di tla...tla..tla..., secondo il ritmo che si sapeva imporre .....e l’annuncio a voce: "a prima da missa sona ...!" Anche questa serata finiva con una breve processione all’esterno della Chiesa: erano almeno tre le "Statue" - o gruppi - "Cristo in Croce", l’Addolorata, che veniva portata sempre dalle stesse persone...perché solo quelle - già proprietari della statua...- sapevano "fare il passo, stanco, triste, lento"...e subito dopo "S. Giovanni" che era più giovane...e, camminava più ...lesto! Particolare importanza si dava a ffruntata al momento - anche di riflessione - dell’incontro dell’Addolorata con il Figlio . Il Sabato: senso pratico, impossibilità di illuminazione, durata della Funzione. La Messa di Resurrezione si celebrava la sera del Sabato ..... e verso ...le nove...solo qualche squillo di campane ....le campane squillavano in segno di gioia e di gloria. Alcune persone anziane (nonne!) avevano l’abitudine...di mescolare il "sacro" con il "profano" e, proprio quando squillava la Gloria , usavano lanciar sui tetti delle case della rena mista a carboni accesi ed incenso ...con una paletta di ferro, naturalmente e gridavano sciuccà!, surici e scurpiuni , chi rrisuscitau Nostru Signuri ... (andate via topi e scorpioni (*) - come se loro, poveri animaletti rappresentassero "le forze del male" che avevano posseduto la terra durante il periodo ...di morte di Gesù . (*) E’ un uso improprio del termine: al mio Paese non esistono gli "scorpioni", quelli velenosi; c’è una specie di timido geco macchiato, frequente abitatore anche delle "case" domestiche, ma del tutto innocuo, e molto timido! La "Gloria" veniva suonata, spesso, di nuovo a giorno fatto.... nelle prime ore della Domenica di Pasqua, ma a quell’ora ..le nonne erano già in Chiesa per la prima Messa...o in viaggio, per la Messa di mezzogiorno. Sant’Antoni! S. Antonio Abate, quello che porta con sé, nella stessa statua ...il porcellino, diventandone il protettore anche per gli altri animali domestici; è anche "patrono" e padrone del fuoco. Per questo Santo ( 17 gennaio ) c’era una particolare devozione; ci si raccomandava a Lui perché proteggesse e ...facesse ingrassare bene i maialotti, e, naturalmente ...ci si disobbligava...con il Santo ...portando un capicoddu, il migliore, d’abitudine, al Parroco. Ora...c’è una diceria che riferisco come l’ho ricevuta . In Paese non c’era la Statua di S. Antonio, ma c’era a Montebello e, quindi ....là si andava a portare ...u capicoddu.. Il Parroco o i suoi ...migliori collaboratori ne erano gelosi ..."perché perdere tanta Grazia di Dio?" ed hanno fatto una specie di sottoscrizione popolare ...per comprare la Statua, invitando, poi, il Parroco di Montebello, per la festa d’inizio ....Oh....! oh...! quel Parroco ....dicono...dicono... s’è rifiutato....: oltre al danno, anche la beffa! E, S. Antonio ha preso "possesso" della protezione degli animali: gli si fa la festa, nel suo giorno, gli si fa, ancora - nel 1999 - la sua processione....ma non son più tanto certo che ...si porti ancora u capicoddu al Prete. Santa Filomena Santa Fulumena, in dialetto: 27 agosto ....credo, ora "declassata"...come altri Santi di second’ordine! Era una statua, come le altre, in "carta pesta", ma molto ben fatta! Si diceva fosse "protettrice" delle giovani donne in attesa di diventare mamme...quindi, "una processione ricca" di offerte per "ottenere la grazia" di una sana maternità. ... ma quando, a Roma, hanno deciso che...insomma...senza processione... s’è persa l’abitudine ...anche quella di "offrire" con notevole "sofferenza". Per ... i morti .... (2 novembre!) In Paese c’era molta gente che ...viveva di carità ...e non sempre era visibile la loro richiesta; spesso, si diceva fossero facci mmucciati (umili, nascosti ....ma in attesa e,...con la mano tesa per ricevere). Si veleggiava verso la gioventù.... attorno ai 16.... quando qualcuno del gruppo ha avuto una buona idea: partire, in giro per il Paese, a far la "questua" di ....cose di casa...raccogliendole in comode bbertuli (*) e poi depositandole, senza dar troppo nell’occhio, davanti alla porta della casa canonica....il Prete, sapeva, come distribuire quel ben di Dio! Per tenere allegra...la compagnia ...qualche strumento musicale e qualche canzone che .... nel migliore dei modi, invitava ad esser...attenti alle necessità del prossimo. L’abitudine ha avuto vita breve.
La guerra ! La pietra focaia
...e il periodo precedente e successivo alle vere e proprie ostilità. Già da qualche anno cominciavano a scarseggiare alcuni generi fondamentali e proprio negli anni 40, alcuni, mancavano del tutto: sale, tabacchi, fiammiferi (allora venduti esclusivamente presso i tabaccai ). Si rimedia a tutto! L’iniziativa e l’inventiva e / o le capacità di imitare, di importare altrui esperienze, sopperiva, in buona parte, alle mancanze . I fiammiferi: come si fa ad accendere il fuocherello, la sigaretta o sigaro ( soltanto pochi potevano permettersi questo lusso: il sigaro!) o pipa? Quello che ho visto e come mio Padre lo ha usato . Una scatola, di cartone o di latta, di circa 10 x 10 cm: dentro pezzetti di una stoffa leggera bruciati...resi cenere ma non stipati...leggeri, leggeri. Un bottone a quattro fori di metallo ed una cordicella infilata nei fori e prolungata verso l’esterno. Un pezzo di "pietra focaia", ...., e, ce n’era in abbondanza dalle nostre parti . In tasca dei pezzetti di giornale stropicciati . La pietra focaia stropicciata velocemente e delicatamente con altra pietra o con metallo produceva una scintilla. Sistemata la pietra all’interno del coperchio, aperto, della scatola poggiata sulle ginocchia; torcendo la cordicella e lasciandola andar velocemente, facendo battere, nei suoi velocissimi giri, il bottone sulla pietra "sprigionava" qualche leggera scintilla la quale, cadendo sulla "cenere" leggera, si attaccava ...si attaccava lasciandovi un...vago "senso" di fuocherellino .... Bisognava soffiare leggermente, leggerissimamente, e, quindi aumentare la forza, la velocità e la frequenza del soffio, fino a quando, un po' alla volta, un pochino alla volta ...quel senso di fuocherello...si allarga, aumenta....e, quindi pronto il pezzetto di giornale stropicciato sul quale, con molta buona fortuna, iniziava una fiammella...ed ecco fatto! Un altro ...pezzettino di giornale...e, la gran fiamma che si può far passare...dove si vuole! Per tutto: sigaretta, pipa, fuoco o fuocherello di campagna.... ...in barba ai Monopoli e alla mancanza di fiammiferi! Il tabacco L’operazione è un po' più complicata : sa di produzione industriale, occorrono più mani. Le foglie delle patate, delle melanzane, raccolte - a maturità - (qualcuno ha tentato con le foglie di vite, molto più abbondanti, ma senza buon esito...per il gusto!) ma ancora verdi e messe a seccare al fresco. Tagliuzzate alla men peggio e conciate con "Estratto di tabacco": un liquido nero, puzzolente che si vendeva ai Consorzi Agrari per gli usi agricoli. Le giuste dosi ? ...le conosceva soltanto una famiglia che lavorava sbarcando .....con questo sistema; le foglioline tagliuzzate stese in grandi canestri e rimescolati... Soltanto qualche giorno...e, prendevano quel ...sapore di tabacco...ma con una quantità di nicotina...pericolosa... Però ...chi ci badava ai limiti massimi consentiti...allora! Già pronto per ...avvelenarcisi con sigarette, avvolte in "carta velina", quando c’era o....in "preziosa" carta di giornale o nel fornello della pipa. Si comprava ..."a quantità approssimative".... : un recipiente di latta, circa un bicchiere da vino ...ma ci si poteva rifornire sempre, anche di notte....solo in denaro, però! Non c’erano orari ....d’obbligo! ...e il sale ....? Un po’ più difficile! A Saline, adiacente alla S.S. 106 , c’era un laghetto, volgarmente detto pantanu, perché proprio di zona pantanosa si tratta! Ora , molto ridotto ..ma nelle vicinanze un "Ristorante : IL Laghetto". Era acqua di mare ancora salata, molto salata che passava attraverso cunicoli sotterranei al di sotto della strada ferrata, per i circa 100 mt dal mare . Il terreno del fondo era essenzialmente di un’argilla rossastra poco permeabile all’acqua: limicu. Nei mesi caldi la superficie delle parti marginali di questa zona pantanosa, per l’evaporazione del liquido, si copriva di uno strato biancastro : il sale: il cloruro di sodio...ed altro. La natura insegna qualcosa! Basta, quindi , provocare... produrre...allargare leggermente i margini, un po' alla volta e soltanto di alcuni decimetri di profondità...fare allagare e lasciare asciugare, aiutando l’evaporazione, in caso di necessità, con la bollitura che produce una polvere ancora più...biancastra, ...e, poi la commercializzazione: venduto anche a cambio di merce, olio per sale! .....perché a Volterra o in Camargue - in Francia - o ad Ofantino - nelle Puglie...come si fa! per produrre il sale? ....La Finanza ? ...ma anche i finanzieri hanno famiglia e devono insaporire le loro vivande! In Sicilia: è un’altra cosa! Non vige il Regime di Monopolio per questo genere, essendo, quasi tutta la zona ricca di ...miniere, beati loro! Ma andare a comprarlo a Messina? Costa il viaggio e, quando non circolano le Navi Traghetto ? ...alle barche private ci sta attenta, la Finanza . Il rifornimento, dunque, presso "produzione locale": oh ! Insomma ! un po' di attaccamento alla propria terra , no ? al prodotto artigianale!
U Gilataru
Oggi non è difficile, per nessuno, passare dal "laboratorio artigianale" e, ve ne sono moltissimi in Città, per acquistare un kg di gelato, fatto fresco, in contenitore di polistirolo che consenta qualche buona mezz’ora e, portarlo fresco a desco, con i familiari o con gli amici, piuttosto! Per non dire dei prodotti e delle varie confezionature....industriali. E’ il progresso ed è il "benessere"! Ma, si è giunti a questo punto, come? Figghioli, ciangiti c’ a mamma vi ccatta u ggilatu! Così, il Conte P., invitava, soprattutto i bambini e ragazzi...e, il loro genitori, a comprare il gelato che veniva prodotto sul posto. Un triciclo portava tutto: gli ingredienti, la macchina per la produzione e la sua inventiva. Ce n’erano, certamente, molti in Città, ma piace ricordare questo Conte P. Smilzo, segaligno, con i capelli riccioluti e lunghi al collo una rarità, all’epoca dal profilo nobile, di Conte, come lui si autodefiniva, con il suo "mezzo di trasporto" laboratorio, girava per la Città e nei Paesi viciniori ...raggiungendo in casi particolari (feste patronali, fiere, mercati) anche località distanti sui 40-50 km. Il triciclo: ruota portante quella posteriore; due ruote anteriori che consentivano di sistemarvi soprattutto: macchina e deposito di materie prime...e, forza di gambe, in una sorta di "cassone" a forma di barca, con la punta a prua, per ragioni di fendi - vento. Ma non temeva concorrenza: forse era il solo che avesse tanto "ardire"; serviva e, ritengo, guadagnava per tirare avanti la numerosa famiglia. Nel triciclo c’era la macchina, due "pozzetti" concentrici di rame (circa 30 cm di diametro con il fondo umbonato, per un ‘altezza di circa 80 cm) collegati ad un congegno il quale, mediante il movimento a " manico di mola " faceva girar soltanto quello interno , pressato su uno strato di ghiaccio: rotto e pestato; la riserva di barre di ghiaccio: 20x20x100 cm circa; i contenitori con le materie prime : latte, zucchero, uova, succhi di frutta naturali e...e, soltanto, qualche "addensante naturale"; i suoi ...occorrenti per sopravvivere anche qualche giorno. Nei Paesi giungeva appena all’alba: e, iniziava subito la sua "campagna pubblicitaria", naturalmente offrendo ..il "primo ..gelato prodotto" a quel giovane, o ragazzo forzuto, capace di dargli una mano a far girare il congegno: prima lentamente, poi, sempre più velocemente, fino a quando ...prendeva consistenza, rapprendeva e, si poteva asportar con la "paletta" a striscio a striscio prelevandone poco alla volta. Restava sempre fino a molto tardi: era nata la diceria, a festa ( fera ) finìu , ‘ncesti sulu u ggilataru! E riprendeva la via di casa anche al buio, una lampadina (ina, ina) a dinamo spandeva un leggero "lucore", tanto per segnalar la sua presenza, ma per muoversi bastava soltanto la conoscenza delle strade, il ricordo d’averle già percorse, in andata, e di notte, eccome! Il prodotto: alla fragola, soprattutto alla menta, alla pesca, alle pere, alle more; Ingredienti e dosaggio? segreto assoluto! Ma, noi ragazzini, bambini, stavamo d’accanto ...vedevamo cosa faceva e quanta "roba" metteva dentro il pozzetto... senza rendercene conto, dei tempi, delle quantità, delle modalità....aspettavamo, con golosa attenzione, il prodotto finito! Ma questo Conte P., - vivono molti dei figli, saggiamente sistemati, con negozi e commerci di vario genere - era quasi sempre in questa Città: in tutte le strade, stradine e stradelle a gridar con la sua consueta loquela il motto che lo aveva reso famoso . Non era difficile ritrovarsi tra amici e...andar a sorbire un cono-gelato prodotto ...sul posto da.... Naturalmente, intanto, nel dopo - guerra, erano sorti in vari punti strategici: i "Bar/Caffetteria/Gelateria" (con una sola effe, per un vezzo...esotico!), ma anche in questi locali "pubblici" il sistema di produzione era uguale:la differenza, trazione elettrica; ma si vedevano i "bastoni" con il "rappreso" man mano che salivano o scendevano nei pozzetti, ed il Maestro gelataio che lisciava, con la paletta, per far scendere, o salire; lì appena dentro il bancone di servizio e, i "gelatai" esperti erano ben pagati e gelosamente custoditi, non si mai, la concorrenza! La soddisfazione del gelato del Conte P era maggiore, però: lo vedevamo produrre con il suo (di lui) sudore per questo, forse il prodotto sembrava più saporito. Il Conte P conosceva i "punti di vendita": accanto al Liceo nei giorni d’esame, davanti alla Chiesa per le particolari Funzioni o Feste, nella Piazza Castello attendeva gli Avvocati nelle ore calde i quali "sortivano" con la gola secca in occasione del grande processo a, e, sapeva colorire il suo messaggio a seconda della clientela alla quale temporaneamente si rivolgeva. Dire ora ? ...Difficile comprendere ! E’ tutto pronto in scatola, in confezione regalo, in contenitore da viaggio...ma tutto prodotto alcuni mesi (anni?) fa e già...congelato. Restano molti punti vendita artigianali...ma bisogna mettersi in fila...per qualche ora... Il Conte P: lo ricordo già abbastanza anziano: capelli brizzolati o quasi bianchi, ma sempre tagliati con la stessa foggia e portati con la consueta nobiltà; con la stessa verve nell’offrire u ggilatu ...ggilatu.... e, quasi certamente, con gli stessi prodotti ma senz’altro con l’identica capacità umana! Qualcuno mi ha ricordato: quando esistevano già i bicchieri di vetro infrangibile...il Conte P produceva anche le granite, in bicchiere. Aveva arricchito il deposito di materie prime con delle grosse bottiglie contenenti liquidi di vario colore: fragola, limone, arancia, melone, ecc. Con una specie di pialletto di alluminio con lama d’acciaio raschiava la balla di ghiaccio, dopo aver raschiato con un coltellaccio, la patina terminale, salata, e, quindi riempiva, quasi, un bicchiere di questo ghiaccio tritato, aggiungendo, prelevandola da quelle bottiglie, una parte di "sensu" essenza, aroma: una leggera rimescolata con un cucchiaino a manico molto lungo, ed ecco pronta una granita targata Conte P. Eh!... poi dicono di "iniziative locali" ...di "imprenditorie"... e, questa cos’era?
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