Percorso Trekking
ad anello, tra uliveti e siti d’interesse storico-culturale, della
collina fossatese.
Una tiepida
giornata di sole ha accompagnato il I° percorso trekking del 2012
organizzato dall’Associazione Culturale dei Fossatesi nel Mondo che ha
avuto come escursionisti un nutrito gruppo di soci e simpatizzanti del
CAI sezione di Reggio Calabria, 37 persone in tutto. Gli ospiti,
puntuali all’appuntamento alle ore 9.00 del mattino, erano già pronti
attrezzati del necessario per affrontare la lunga passeggiata tra gli
uliveti e i siti di interesse storico paesaggistico delle colline di
Fossato.
La passeggiata è
iniziata dall’interessante sito di Santastasi, i partecipanti hanno
ascoltato con interesse la storia dell’affresco bizantino e hanno
immortalato con numerose foto le nicchie che ospitano le sacre
raffigurazioni e le costruzioni circostanti quali il vecchio “trappito”
il tutto ricadente sulla proprietà del Sig. Antonino Crea di Fossato che
gentilmente ha consentito l’accesso ed il passaggio per raggiungere il
posto.
Alle ore 9.45 è
cominciato il percorso che si è snodato lungo i tornanti della strada
interpoderale che dalla località “pirara papala” ha portato gli
escursionisti su per Ramundino fino a Puntu d’Argento e Fasulari dopo
circa 2 km di salita per passare dai 480 metri del greto della fiumara
S. Elia alla cima più alta di circa 850 metri.
Lungo il percorso
gli uliveti e le reti di colore verde e rosso, stese per la raccolta
delle olive, hanno fatto da cornice agli incantevoli panorami di cui
poteva godere la vista del gruppo di persone tra cui anche bambini ed
anziani. Giunti alla vetta più alta in località Smiroddhu e prima di
iniziare la discesa che porta all’abitato di S. Elena l’orizzonte del
panorama si è allargato su tutte le montagne circostanti, spaziando
dallo stretto di Messina verso ovest con la vista mozzafiato dell’Etna
innevato, verso Sud di tutta la costa ionica reggina fino a Bova marina
e verso nord est con S. Lorenzo, Roccaforte e Bova Superiore.
La vista dei centri
abitati di Fossato con le sue numerose frazioni, di Montebello e Masella
completava a 360 gradi la visione delle nostre splendide colline.
Attraversato
l’abitato di S. Elena il gruppo raggiungeva l’imboccatura dello Stretto
di Montebello con le sue alte pareti rocciose a picco sul torrente S.
Elia. Risalendo il letto del torrente il gruppo ha raggiunto la località
Annunziata e qui una gradita sorpresa per gli ospiti organizzata dai
membri dell’Associazione, una ricca e gustosa tavola imbandita con i
prodotti tipici fossatesi ha deliziato il palato di tutti. Pane ancora
caldo fatto in casa, capocollo, formaggio, buccularu, curcuci, miele
stottaceti vari e naturalmente frise condite con l’olio fossatese e vino
a volontà magistralmente serviti dagli amici e dai soci che hanno
soddisfatto l’appetito degli amici del CAI.
La colazione a
“scjabbucca” è stata completata da champagne francese e spumante
italiano offerto da Mario e Melina per assaporare meglio le deliziose
“chiacchiere” della signora Gianna e l’immancabile caffè finale. Dopo
una vista alla chiesetta patronale eretta dalla famiglia Mazzacuva nel
1742 che custodisce il quadro rappresentante l’Annunciazione.
Raggiunte le auto
il gruppo ha fatto visita all’esterno del Palazzo Piromallo, “A Turri” e
alla chiesa di Fossato per ammirare gli splendidi mosaici che la
impreziosiscono.
Era già quasi buio
quando gli amici, soddisfatti per l’accoglienza e l’ospitalità avuta
sono rientrati in città, con la richiesta di organizzare altra simile
escursione già dal mese prossimo.
Il presidente Mimmo
Pellicanò ringrazia, Carmelo, Mimmo, Fabio, Gianni, Salvatore, Peppe,
Luciano, Nino, Mario, Melina per la collaborazione e l’impegno dato ed i
fornitori delle vettovaglie mangerecce.
Passeggiata Grecanica -
Pensieri, Note e Riflessioni di Mimmo Principato
Sono salito
insieme agli altri, facendo leva solo sulle mie gambe. Lungo i sentieri
odori di nepitella fresca, artemisia, ruta e poi gradevoli geometrie di
ortiche, fichi d'India, rovi raggrumati. Il vociare allegro e sincero di
una compagnia. Dalla prima altura la fiumara nodosa si intersecava
dormiente. Malgrado il mal di gola che mi tormentava sono salito in
cima, il fruscio degli alberi parve a tutti una dolce carezza. Il paese
si apriva largo per i nostri occhi, per un attimo da lì, da così
lontano, ebbi soddisfazione nel pensare che quel paese così pieno di
tradizione, di cultura, così nostro, non fosse cambiato; che ci fossero
le stesse cose di sempre, gli stessi suoni, gli stessi rumori, gli
stessi odori. Poi ho guardato l'opera dell'uomo, le zozzure industriali
e quel ricordo è scoppiato come bolla di sapone. Mi ridesto dal sogno.
Un amico tira un sigaro ammezzato dalla giacca, il gesto mi ricorda
molto il Guevara medico, non è un cubano è forse un più semplice ma non
meno ricco toscano. Il rumore delle scarpe sulla terra mi ha rimandato
all'epoca dei "barbudos" castristi, alle altre marce di meno fortunate
soldatesche: qualcuno fuggì dai lager di Berlino e arrivò in paese a
piedi. Al Guevara piacevano molto questo genere di uscite, appuntava
tutto sul suo taccuino accompagnato dalla più intellettuale pipa dalle
quale non si separava mai. La prossima volta anch'io mi ricorderò di
portare un taccuino e una matita e al limite una pipa assai più
romantica della volgare sigaretta che ora fumo sulla salita. L'amico del
sigaro, nonché architetto Salvo Cuzzucoli mi fa una battuta alla
Vincenzo Granado, mi ricorda che al mondo la nota filosofia fossatese
insegnò le tre categorie dei fessi: quelli che fanno le minzioni contro
vento, coloro che danno da bere agli asini che non hanno sete ed infine
quelli che fumano in salita. Lo guardo e cerco di rispondere sincero
alla bella provocazione ironica: la salita è solo un'apparenza se volti
le spalle e cammini all'indietro diventa discesa. Aspettiamo un amico,
per rifiatare un poco, vogliamo vedere se anche lui come noi è sfatto
allo stesso modo, invece arriva sfregandosi le mani fresco come le rose
di maggio, lo complimentiamo, ammette sorridente di avere anche fumato
una sigaretta, purtroppo anche lui in salita. Risate generali. Il nostro
occhio cade sulle erbe di campagna quelle commestibili, molto buone,
mangiate di gusto da parte mia quando ero bambino e addirittura gradite.
Ascolto i ricettacoli dell'architetto che mi pare persona esperta
nell'arte culinaria delle nostre tradizioni. Ricette di cucina povera,
che in pochi ora conoscono forse perché non più tramandate o forse
perché non più gradite ai palati raffinati della cucina moderna.
Perdiamo infine il nostro occhio nel classico equilibrio del volo di un
falco alto sopra le nostre teste, lo guardiamo stupefatti osservandone
l'apertura alare e la sua dinamica scocca, progetto forse di un più
abile ingegnere: ditelo Dio, ditelo natura, ditelo evoluzione della
specie: risultato è sempre quello. Continuo a ragionare sulla battuta
che mi aveva detto qualche ora prima, di gente che (a valle da dove or
mi trovo) ha fatto minzioni contro vento non perdo neppure il tempo di
contarle perché troppe sarebbero, per loro, io spero ci sia stata, una
specie di contrappasso apocalittico: inesorabilmente impiccati a testa
in giù, incappiati dall'organo da cui fanno minzione; per una volta si
bagneranno solo loro. Di gente che diede da bere agli asini che non
avevano sete, se mi guardo intorno ne posso riconoscere alcuni volti, a
loro concedo un sommesso purgatorio: potevano perseverare, ma risaputo è
che quando l'asino non vuol bere inutile il fischio del padrone, non so
ben dire se abbiano ceduto o se siano stati piuttosto intelligenti. Chi
fuma in salita o è un nichilista o non ne può proprio fare a meno e se
non può farne a meno e perché sopporta fin troppo. L'ingegnere Macheda
ci viene in soccorso ad offrirci dei baci perugina, non sia mai che ci
calino gli zuccheri. Il giochino delle frasi intorno ai baci ci fa
tornare bimbi e iniziamo a leggere tranne l'ingegnere che non si sa come
abbia fatto il suo bacio non aveva massima nemmeno un prestampato da
compilare, forse gli arriverà via email. Continuiamo a scherzare
all'ombra degli ulivi poco lontano da una "nizza" di finocchio selvatico
cerchiamo di essere seri e continuiamo a camminare: arriviamo a dei
ruderi, rimaniamo a bocca aperta: sappiamo dentro di noi che sono le
vestigia degli antichi padri, che abbiamo dimenticato in troppi. Non so
proprio dirmi se siamo noi la civiltà o se fossero piuttosto loro i
popoli civili che quelle case le avevano abitate. Si discute del
maledettissimo 1860 dico qualcosa ma preferisco rilassarmi arrivati
lungo il crinale più alto vediamo la Sicilia e l'Etna innevati, stupore
generale, sembra un'unica nazione da Napoli a Palermo e par che il mare
non ci separi. Mi chiedo perché i vespri del popolo di Sicilia non siano
più di moda e pur ne avremmo bisogno. Arrivati alla roccia di Sant'Elena
il paesaggio sembra surreale, sembra di non essere più in Calabria ma
sui monti delle Ande, Pentidattilo sembra invece il pan di zucchero. Da
lì si vede il mare la roccia di Sant'Elena è un enorme mammella erosa e
scavata, l'antico la volle depositaria della mitica gallina dalle uova
d'oro: l'antico digiuno sei mesi all'anno ne andava in cerca oggi è
quasi sconosciuta. A noi piace pensare che quella gallina ancor si
nasconda. Mi siedo, osservo e penso alla filastrocca degli occitani di
Ferretti, Fossato è già dietro sotto di noi si alza Montebello. Penso
alla strage degli Alberti e a quella dei Mazzacuva stragi fatte per
amore e per morte "di
lato al mio crinale, da cui si vede il mare d'autunno in primavera con
il tramonto sale l'odore degli orti, il suono delle corti un gusto di
equilibrio, di misura“mezura” che non dura, s’intristisce la sera tra
echi di dolore e canti di preghiera: è l’Occitania, che ancora si
dispera. Occitania: le donne, i cavalieri, i trovatori i Catari, le
corti d’amore. OCCITANS tous OCCIS La notte inghiotte la sera, sfiora la
rosa, sfiora la lavanda il giglio di Lorena con la croce di Roma qui
massacra e comanda: non s’osi vivere, se non in penitenza ubbidienza
indulgenza. Guai alle donne che devono servire, partorire in dolore, guai
a chi le difende e guai, guai a chi si arrende. Monsegur anno 1244.
OCCITANS tous OCCIS al rogo gli occitani: vecchi donne bambini vivi
morti feriti, malati e sani. Al
rogo gli Occitani! e ancora gli par poco: se ne infanga la
memoria, sbagliando la materia. Il fango si fa terra, germoglia e fiorisce
la storia, la notte inghiotte la sera: sfiora la rosa, inacidisce il
miele le donne d’Israele s’intristiscono in lor cuore sanno che va male,
va male a peggiorare sanno di già che diaspora diventa shoah. I forni
crematori sono il progresso dei roghi. I forni crematori sono il
progresso dei roghi."
Noi aggiungiamo che l'oblio è il
progresso delle fosse comuni. Se a Occitania mettete Grecania nulla
cambia. lì seduto mi vengono in mente scene del film "I cento passi", il
monologo di Impastato sulla bellezza, il lancio della pietra lungo i tre
spuntoni di roccia in Baaria di Tornatore. Alla fine dopo i lauti pasti
e i sensi molli per il buon vino si fa sera. Palazzo Piromallo ci vede
stanchi ma felici qualcuno domanda "si può entrare?" "No, oggi no!".
Finiamola così, con le spirali di fumo di un architetto che ci avvolgono
la faccia e con i nostri occhi muti su una facciata barocca non ancora
uccisa del tempo. Una note di colore: "Ma il ferro di cavallo trovato lo
mettiamo nella sede, vero?!"