I Vecchi raccontavano (Frammenti di cultura e tradizioni popolari)nostri vecchi non amavano fare la roba carte ai figli. Preferivano lasciarla agli eredi quando morivano. E racontavano che...
C’era una volta un vecchio che volle fare le carte ai figli e andarono dal notaio a Melito. Sulla strada del ritorno uno dei figli disse al padre: “Dateci la chiave, pa’. Noi andiamo avanti a preparare da mangiare. Voi venite dietro col vostro tempo.” Quando il vecchio arrivò davanti alla casa non vide la chiave nella porta. Spinse la porta. Era chiusa. Diede una voce. Nessuno rispose. Chiamò i figli per un pezzo. Invano. Alla fine uno di essi si affacciò. “Cosa volete?” “Volevo entrare in casa mia...” “Quale casa mia? Questa ora è casa nostra. Andate via o sleghiamo il cane.” Richiuse la finestra e lo lasciò povero e pazzo in mezzo alla via. Padre e figli andarono dal notaio a fare le carte. Ogni figlio già da bambino sapeva cosa gli toccava, perchè il padre per evitare liti si era spiegato con essi assegnando a ciascuno la sua parte. Egli da molto tempo aveva pensato a dividere la terra con equità e man mano che i figli crescevano spiegava loro i motivi della divisione. Anche al figlio più piccolo di sei, sette anni aveva chiesto cosa ne pensava della sua parte e se i fratelli a parer suo erano contenti. Al figliolo era parsa strana quella divisione. La sua parte e quella del fratello immediatamente più grande era più estesa e aveva più piante di olivo. Ne chiese il motivo.Il padre rispose: “Quanto sei fesso! Non vedi che la terra che darò ai tuoi fratelli è più piccola, ma ha gli alberi più grandi? In questo modo la rendita sarà sempre uguale per tutti.” Quel giorno che andarono dal notaio, dopo che il padre aveva firmato lo strumento e stavano salutando, il vecchio in piedi e col dito al cielo chiese: “Signor notaio, facciamo ancora in tempo ad aggiungere l’ultima postilla alle carte?” “Egregio signore, fino a quando non lascerete questa stanza potete aggiungere qualsiasi postilla. Ditemi cosa volete aggiungere.” Il padre guardò i figli uno a uno e rivolto al notaio disse come pronunciando una sentenza:“La frase da aggiungere è questa: ‘Io con grandi sacrifici ho fatto la terra e maledico chi la perde!’” Il notaio, sorpreso e meravigliato per quell’uscita, pacatamente rispose all’anziano signore: “Quello che dite è cosa sacrosanta. Purtroppo la legge non consente l’inserimento di queste postille.” Volse poi lo sguardo a i figli e continuò: “I vostri figli, che hanno ricevuto il vostro insegnamento e sanno cosa è il rispetto, mai in loro vita vi recheranno questa offesa. Io ne sarò testimone.” Usciti dallo studio, il padre volle ancor di più rimarcare la sua autorità. Li portò tutti a bere e offrì un ricco aperitivo. Pagò e disse: “Vi ho dato la mia terra e da bere ho pagato io, così fino all’ultimo ne siete completamente legittimati!” I figli dopo anni e anni coltivano ancora la terra del padre. I nipoti faranno come loro? Ricordate la famosa scena del film con TOTO’ protagonista ? Ricordate che nella trama del film il personaggio interpretato da Toto’ decise di candidarsi alle elezioni per Sindaco e preparava lo slogan politico per convincere gli elettori ? Vota Antonio… Vota Antonio…. Vota Antonio! Questo era lo slogan che il protagonista ripeteva spesso. Vota Cannolo non ha niente a che fare con le elezioni. Cannolo non è un personaggio politico, non va in cerca di voti, non è candidato alle elezioni. Cannolo è……….. Leggete, leggete…..alla fine vi farete una bella risata. Le risate fanno bene alla salute, servono per stemperare un momento di tensione, per alleviare lo stress di una dura giornata lavorativa, per stare un po’ più allegri in famiglia. Se qualche risata sorgerà spontanea vuol dire che questo racconto semiserio avrà raggiunto il suo scopo. Se avete letto “I camii da frutta”, tra le pagine di Francesco, ricorderete che un tempo la frutta di Fossato era così abbondante da soddisfare le necessità delle numerose famiglie fussatote e ne avanzava per l’esportazione verso la città di Reggio Calabria. I nostri genitori, i nostri nonni, quando stabilivano, di concerto con altri gruppi di paesani di andare in città, dalla sera prima preparavano il “carrico”. Riempivano i cofini con le più pregiate varietà di frutta del nostro paese, soprattutto pira lisciandruni, ogni tanto in mezzo alle pere nascondevano qualche pezza di caso, avvolta con carta e sirbietta per non far sentire neanche l’odore quando passavano u ponti da gabbella, altrimenti i gabbelloti facevano pagare il dazio. Verso la mezzanotte tiravano fuori dai box il mezzo di trasporto di famiglia: lo scecco, oppure il mulo. Mbardavano e caricavano i pesanti cofini, legando con cura le prisagghie con la doppia streva, necessaria in quanto per andare a Reggio, per la via breve, attraverso le montagne si dovevano affrontare nchianàti e scindùti. Molto ripida era quella di Musijeti che portava, alla fine, in uno dei punti più stretti del torrente Valanidi, dove bisognava attraversare per passare dall’altra bbanda. Il greto del torrente era pieno di pietre scivolose o appuntite e in alcuni tratti anche fangoso. Durante uno dei tanti viaggi successe che uno scecco della filerata dei fussatoti, mentre transitava in quel punto critico, sciampricò sulle pietre e finì nella zona fangosa, con il rischio di sprofondare. Meno male che a nessuno venne in mente di scaricarlo, perché i cofini aumentavano la superficie d’appoggio ed evitavano lo sprofondamento. Intanto si studiava il modo per trarre d’impaccio la povera bestia, carrico compreso, per poter proseguire il viaggio. Stramenti si erano radunati altri gruppi di cristiani e scecchi, provenienti da paesi vicini, che transitavano di lì per lo stesso motivo. Lo spirito di solidarietà, innato tra le nostre genti, ebbe il sopravvento sull’egoismo di proseguire il viaggio ed arrivare prima ai mercati per fare i migliori affari della mattinata. Ognuno esprimeva la propria opinione e dava il proprio consiglio, tutti consapevoli, però, che non si poteva usare il classico metodo del cardone spinoso sotto la coda, per fare nnazzare lo scecco e farlo uscire da solo da quella incresciosa posizione, perché la bestia, cadendo, aveva piegato le zampe anteriori, inginocchiandosi, per cui non poteva fare forza per sollevarsi da sola. Una delle persone presenti che era stato all’estero ed era anche andato al cinema, ricordava di aver visto, in un filmo, tirare dal fondo del mare le barche affondate, con dei palloni pieni d’aria. “Vediamo, disse, se possiamo fare così anche con l’asino”. “Scecco, gli disse il suo capofila, scecco, cchiù scecco dello scecco mpantanato, dove li prendiamo i palloni in questo posto, semmai dobbiamo riempire d’aria la pancia dell’animale, sperando di sollevarlo abbastanza da passargli sotto i paricchiali e tirarlo fuori a forza di braccia, oppure lo leghiamo al mulo di compare Carmelo, che è molto forte e se lo carrìa fuori in un minuto”. L’idea convinse tutti i presenti, ma ancora non capivano come fare entrare l’ aria nella pancia dell’asino. Dalla bocca e dalle naschie non era possibile perché non avevano attrezzi adeguati e comunque facevano l’aria ritornava fuori. Rimaneva l’opzione posteriore. Non si persero d’animo, tagliarono una canna da un vicino canneto, e lavorandola con l’opinèl affilato e con un crocco di ferro da sei fecero una specie di tubo che delicatamente posizionarono sotto la coda dell’asino, in quel posto dove non batte mai il sole, come si suol dire, proprio lì da dove vengono espulse le eccedenze alimentari dopo la digestione. Certamente il gruppo dei fussatoti cominciò a soffiare per prima. Polmoni pieni e soffiata, fino alla stanchezza, poi dito nel tubo per non fare uscire l’aria e sotto un altro. L’operazione andò avanti per un bel po’, lo scecco, per quanto scecco, sembrava aver capito che lo stavano aiutando e non fece scrèpiti per peggiorare la situazione. Agli uomini sembrava che piano piano la bestia si staccava dal fango. L’idea del cannolo, tubo di canna, non era sbagliata e sembrava funzionare, solo che i fussatoti non avevano più fiato. Allora il capofila dell’altro gruppo, sempre mosso dallo spirito di solidarietà, offrì il loro aiuto, anche nel soffiare. “Jamu, muvimundi figghjoli, a cosa sta funzionando, nda nnenti ndi sbrijamu e putimu cuntinuari u viaggiu. Sulamenti, cari amici fussatoti, ndaviti aviri a buntà, non è pirchì ndi nnasijamu, non vi vulimu ffendiri, ma, pì na questioni d’iggèni, nui, nui ndò connolu shjussihjamu i ll’atra parti, forza Giuvanni ncumincia tu, ma prima vota u cannolu”………….. …….e soffiando soffiando l’asino si sollevò, fu tirato fuori da quelle finte sabbie mobili e così continuarono il viaggio, contenti gli uni e stracontenti gli altri……….. Se qualcuno già conosceva questa storiella, faccia finta di niente, oppure, sorridendo la racconti ai figli o ai nipotini, e, se rideranno anche loro vuol dire che hanno capito tutto e noi, come dicevo prima, abbiamo raggiunto il nostro scopo di portare un po’ d’allegria nelle vostre famiglie. Se riscontrate errori non ci fate caso, sono fatti apposta. |