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 LA  FORD  CORTINA

Cari Fussatoti  con questo scritto non voglio fare una dissertazione tecnica sul modello di automobile di cui al testo, bensì approfittare di essa per introdurre un discorso che fa ritornare alla memoria una persona che nelle foto delle pagine di Franco ricorre molto spesso e che, secondo me, merita di essere ricordato ed inserito tra i personaggi di Fossato. Non molto alto di statura, robustello, con una bella chioma di capelli neri sempre in ordine e dei sottili baffetti sempre ben curati. Lo vediamo circondato da altri giovani coetanei, ma soprattutto ragazzi ancor più giovani che stavano bene in sua compagnia. Lo vediamo su un asino con le cofenelle di sicurezza, in contrada “Livitu”, quando da quelle parti c’era solo la fiumara di Racale, in tutta la sua larghezza, ed ancora non si vedevano costruzioni. Lo vediamo insieme alla figlioletta, insieme alla moglie, insieme a tante altre persone, e quello che colpisce della sua  persona è sempre il suo sorriso ed il suo ottimismo che traspare da quel sorriso. Eppure la vita non fu benevola nei suoi confronti. Viveva con i genitori e le altre persone di famiglia in una casetta di campagna in località “Crivini, così come un po’ tutte le famiglie durante il periodo della seconda grande guerra, ed anche dopo. Un giorno un acquazzone lo sorprese in aperta campagna e quando rientrò era tutto inzuppato. La mamma gli accese un fuocherello in un angolo della piccola stanza di campagna e lo fece distendere in modo che si asciugasse e si liberasse dall’umidità. Ma egli si addormentò e quando cominciò ad avvertire il bruciore ai piedi era troppo tardi per rimediare ai danni che il fuoco aveva provocato. Certo ritrovarsi a quindici anni con i piedi carbonizzati fu una esperienza scioccante. La corsa all’Ospedale di Melito in groppa all’asino, primo mezzo di trasporto in quel momento, non servì molto a risolvere il problema della necrosi incipiente. Solo il bisturi del chirurgo evitò danni maggiori. Ma la parte carbonizzata dovette essere asportata. Il suo calvario durò a lungo, con notevoli sofferenze. Fu portato perfino a Bologna, presso un Ospedale specializzato, dove fu curato per lungo tempo, fino a quando i medici e i tecnici ortopedici riuscirono ad approntare delle protesi che gli consentirono di rimettersi in piedi e riprendere a camminare con l’aiuto di un bastone di appoggio, dopo anni di carrozzella. Guardando attentamente le fotografie si notano perfettamente le sue scarpe ortopediche. Nonostante questa disgrazia non perse mai il sorriso e la volontà di andare avanti. Si fece anche la sua bella fuga d’amore, con la sua innamorata, da Gurgori a Capane, in groppa all’asinello che suo fratello guidò fino alla casetta di una zia che diede loro ospitalità. Formò la sua famiglia adoperandosi come poteva per tirarla avanti. Con il Patronato dei Coltivatori Diretti, aiutò tanti compaesani a sbrogliare le faccende burocratiche con l’Ufficio di Collocamento e la sede della Coldiretti  di Reggio, viaggiando con l’autobus o con mezzi di fortuna. Quante volte l’abbiamo visto salire a piedi da piazza Carmine fino a via Possidonea, facendosi forza con quel bastone!  Nel 1967 suo fratello Peppe (il caciondolo) gli lasciò la famosa Ford Cortina che aveva portato dalla Francia, risolvendo i problemi della viaggiabilità. La prima persona a guidare la Cortina fu il sig. Carmelo Pellicanò (Cacafocu), che poi divenne suo “sumbettiru” (consuocero). Ma, appena presa la patente Franco ed il sottoscritto Francesco, La Ford Cortina fu cosa nostra. E dopo ogni viaggio: “pani ca suppizzata e vinu a volontà, oppure  pasta o furnu, chi Pascaledha a sapiva cucinari bbona”.  Non vi ho ancora scritto il nome di questa persona, ma l’ ho fatto di proposito, perché penso che già abbiate capito che si tratta di Leonardo Scaramozzino dì “cutrumista”, papà di Margherita e di Ambrogio. La Signora con la falce, purtroppo, lo portò via da questo mondo quando non aveva ancora cinquant’anni. Di lui rimane il ricordo delle sue sofferenze, affrontate con grande dignità, non lasciandosi prendere dalla depressione, il ricordo della sua bontà d’animo, della sua giovialità, e la voglia di stare con i giovani. Non dimentichiamolo!

Francesco Pellicanò.

 

 

 


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