"Guardatelo là." lo indicava Carmelo
all'esecrazione generale. "E' invidioso pure di quelli che contano
solo il quarantotto a scopa!"
La figura di don Nunziato, uomo di virtù per
niente preclare, rimaneva legata indissolubilmente al ricordo di
Carmelo che con lui per molto tempo divise pane e sonno. Uomo
materiale per natura, umbratile e permaloso, gli occhi porcini
percorsi da una vena di follia, don Nunziato aveva consumato i suoi
anni prendendo in giro se stesso e il mondo. Nella sua neghittosa
esistenza provava un incontenibile desiderio di divertirsi a spese
degli altri, in specie degli amici e dei parenti. Prendeva ogni cosa
a gabbo per dare sapore alla sua vita insulsa e ci riusciva con
estrema facilità grazie a una non comune lingua tagliente con la
quale riduceva a letame persino l'ostia consacrata. Con questi
metodi riusciva ad avere torto anche le poche volte che aveva
ragione.
Il sodalizio tra i due datava fin dalla
giovinezza e poggiava sul sano pregiudizio per il lavoro. Erano
accomunati dal modo di intendere la vita, tenendosi a rispettosa
distanza da fatiche e preoccupazioni e mossi dal vivo interesse a
cogliere ogni occasione di gozzoviglia e bel tempo. In questo don
Nunziato, di seria quanto fallace reputazione, era molto più
intraprendente e trascinava l'altro che frapponeva pro forma
soltanto un fragile velo di resistenza, prontamente rimosso dopo il
primo bicchiere. I loro festini erano proverbiali. Come quella volta
che per commemorare degnamente non si sa quale avvenimento bevvero
tanto che alla fine ubriacarono persino la capra di Carmelo,
Teresina, che da quel giorno prese il vizio.
Come tutte le amicizie basate sull'affinità,
anche la loro aveva conosciuto alti e bassi, questi ultimi causati
dal comportamento a sfotticristiani di don Nunzio, che aveva trovato
nel remissivo Carmelo bersaglio disponibile a subire, ma spesso
costretto a ricorrere alla minaccia del coltello per rintuzzare le
rozze e fragorose bordate dell'amico. Don Nunzio indulgeva al
sottile piacere di martirizzare Cirivillino con parole salate che
avrebbero schiodato persino le tavole del solaio. Tutta la vita lo
aveva pizzicato, ma nella cementata amicizia - il loro astio era di
poco momento - si accompagnarono sempre a "far danno" (come si
diceva in paese) nelle campagne, fin quando don Nunziato morì di
vecchiaia. Partivano con la vecchia Rénault a giorno fatto, ben
equipaggiati di vettovaglie e di vino, con l'intenzione di fare
qualche lavoretto. Ma arrivati a destinazione, scaricavano la roba e
celermente si accingevano a prendere bivacco. Dopo conviviale e
lungo pasto si allungavano sulle frasche alla godereccia con un filo
di ginestra in bocca e le mani dietro la nuca. Le ore trascorrevano
lente, il sole arroventava le campagne e i nostri tenaci guerrieri
della lotta quotidiana, impassibili nel placido torpore, si
rotolavano per terra seguendo l'ombra delle piante. Si sarebbero
rialzati all'ora del ritorno, quando il sole si infilava di taglio
sotto gli alberi, dopo aver smaltito nel sonno il vino trangugiato.
Il lavoro, beninteso, era rimandato ad altra più propizia
occasione.
Avevano battuto anche i paesi della marina "ad
annusare la coda alle ragazze"; lì le "muchache" - stando
almeno alle convinzioni di don Nunzio, anche lui maturo scapolo, ma,
a differenza di Carmelo, dalla celebrata e mai sopita fregola
inappagata - erano più allegre, propense alla confidenza e, lasciava
intendere Cozzodarenga, disponibili non solo a quella. Don Nunzio si
metteva alla guida lungo la provinciale e correva come un asino di
maggio che sente l'asina ragliare. Ma se anche i paesi della costa
fossero stati i più licenziosi luoghi di perdizione e di lussuria,
mai successo avrebbe potuto arridere alle loro maldestre spedizioni
libertine.
Faceva difetto a
Cozzodarenga, oltre l'età e il "physique du role", la
gentilezza e il garbo nei modi per sedurre e conquistare. Aveva un
discutibile concetto personale del decoro, anzi sembrava provare
godimento quando riusciva a disgustare il prossimo con comportamenti
da far storcere la bocca anche ai bastasi del porto. Né, d'altro
canto, supplivano alla goffaggine sufficienti mezzi finanziari da
mettere in bilancio per quella posta: mai e poi mai sarebbe passato
nel suo cervello l'idea di largheggiare nelle spese per far fronte a
situazioni in cui sarebbe stato opportuno essere per lo meno
brillanti. ("Quella cosa non l'abbiamo mai pagata, noi!". Riporto,
per intenderci, la sua esclamazione di vanto che avrebbe volentieri
sottoscritto anche davanti al giudice).
Erano quindi animati solo dalla buona volontà
e dalle intenzioni di don Nunzio, ché Cirivillino si lasciava
trascinare quasi abulicamente: e con queste sole qualità, è
risaputo, si fa poca strada. In definitiva, in campo amoroso
potevano essere annoverati a buon diritto tra i devoti di San
Giziaco, patrono delle disfatte. Soprattutto a onta e disdoro di
Cozzodarenga, perché Carmelo per naturale ritrosia e timidezza
manteneva la posizione di appoggio sia perché consapevole dei
comportamenti buzzurri del socio sia perché, alla fin fine, dopo una
ferita subita in gioventù e mai rimarginata, delle donne non gli
importava più di tanto. I nostri attempati "giovani di vita" alla
ricerca di amori fuori stagione furono così protagonisti di
grottesche ed esilaranti vicende entrate in pompa magna nel vasto
repertorio dell'aneddotica faceta del paese.
Prim'attore di quelle farse fu sempre don
Nunziato, ma una volta prese l'iniziativa Carmelo, che non ne poteva
più e si volle togliere lo sfizio di dare una lezione di savoir
vivre a Cozzodarenga. Erano a passeggio sulla via principale di
Melito e videro venire verso di loro una bella signorina vestita
alla moda, con un barboncino al guinzaglio. Cirivillino si fece
ardito e si avvicinò ad accarezzare la bestiola che si mise a
guaire.
"Cuci, cuci... Che bel cagnolino, signorina!"
Don Nunziato non perse tempo, diede uno
spintone a Cirivillino e a denti stretti gli impose:
"Animale, accontentati del cane, ché la
signorina l'ho vista prima io!"
Comunque, alla fine di tutte le loro
infruttuose spedizioni, per non perdere del tutto il viaggio
finivano a cercare consolazione in qualche osteria davanti a un
piatto di pesce stocco.
"Per mangiare e bere mi puoi fottere", si
vantava convinto don Nunzio, grattandosi la schiena contro il muro.
"Ma per femmine...!"
"Soprattutto con la tua eleganza! Quando ti
pari a festa sembri un mazzo di ramaglie legato con quella cinghia
che sfigurerebbe persino come sottopancia di scecco. Hi, lupo! Vai
con quel sacco al mulino tu..." ribatteva Cirivillino e con queste
parole ironiche sostituiva quelle più pesanti che nascondeva dietro
ai denti, ma che agli intimi riferiva palesando la sua opinione
sulla pretesa spropositata di don Nunzio di sposare a tutti i costi
una maestra di scuola, non importandogli null'altro del suo stato e
della sua avvenenza ("Belle o brutte, mi piacciono tutte.")
Non era raro però che le vanterie del socio lo
costringessero a chiudere il conto con la desolata esclamazione:
"Sì, la regina Taitù!... A te? Non ti vorrebbe
manco l'asina scalcagnata di 'Ntoni Màrmoro."
Ma l'altro conto, quello dell'osteria, se lo
sobbarcava regolarmente Carmelo perché don Nunzio, emerito taccagno,
fu sempre poco propenso a mettere mano al portafoglio. Anche in
queste circostanze, per affogare l'amarezza e lo sconforto per
l'insuccesso, non si parsimoniava col vino, fidando sulla protezione
di qualche santo deputato a correggere all'ultimo momento le
pericolose traiettorie della Rénault durante il ritorno per le
strade di montagna.
Tuttavia l'occasione più ghiotta per lo sfottò di Cozzodarenga si
presentava quando Carmelo trattava infervorato della "società" e si
esibiva nel vasto campo delle regole sociali.
"Quante giornate di lavoro franco ti sono
costate le regole sociali, Carmelo?" graffiava mordace calcando la
mano. " Ogni regola, una giornata di zappone gratis a beneficio
della 'società'..."
"Fatti strabenedire, Buttozzo!" ribatteva
Carmelo con amichevole irritazione, apostrofandolo con il nomignolo
che l’altro si era guadagnato per le generose proporzioni. "'Sto
cornuto era tanto disonorato che rubava i soldi a sua mamma,
comprava un sigaro puzzolente e se lo rivendeva un tanto a tirata.
Uno si comprava, mettiamo, un paio di boccate e se le fumava. Poi
'sto infamone gli strappava il mozzicone dalle mani, pronto a
vendere a un altro la sua porzione di tirate. Ma di soldi non ne ha
mai visti: li avanzava. E mo' li pigli! Crescendo non è migliorato.
Sai che faceva in Cirenaica durante la guerra? Vizio di natura, fino
a sepoltura, malanova! Vendeva tè a credito ai soldati girando con
una gamella piena di brodaglia. Fin quando a Marsa Matrouth, sulla
frontiera tra Libia ed Egitto, una bomba non lo sotterrò insieme al
quaderno della credenza."
E don Nunziato, col faccione congestionato,
tirava il carico da undici che aveva tenuto in serbo e saettava
intorno lo sguardo bovino per invitare al riso di approvazione.
"Carmelo, ti sei guadagnato un peto da cento
lire. Racconta piuttosto di quando ti presero di malandrineria le
scarpe nella fiumara di Valanidi."
"Va a pigliarla a Malta, cetriolo! A te le
avrebbero sequestrate se non fosse intervenuto il sottoscritto a
mettere in riga quei quattro beccamorti."
Poi Cirivillino faceva con faccia costernata:
"Parla sempre sporco, questa pezza da piedi,
come se avesse il culo al posto della bocca. Don Nunziato? Un grande
intellettuale! Non voglio vedere più né lui, né mal'annata di
grano."
Cozzodarenga, per non smentirsi, sputacchiando
saliva e con vocione gutturale, lo apostrofava con incomprensibili
espressioni arabe di spregio che aveva malamente imparato ascoltando
i veterani in Libia durante la guerra.
"Anta chelèm fàraq mush magùl! Sert harà,
himàr! Barra bisur-ra!"®
Il gargarismo, con qualche variante di poco
conto, era sempre uguale e più o meno voleva dire:
"Stai dicendo sciocchezze. Vai a cagare, asino.
Levati subito dai piedi."
Carmelo non si lasciava impressionare da quell'improbabile
repertorio linguistico e con allusione alla avventura africana di
don Nunziato - dalla quale era stato tirato fuori per tempo grazie
ai provvidenziali capicolli con cui i parenti avevano preso per fame
un ufficiale del distretto di Reggio - ridacchiando pacatamente gli
cantava a sfottò:
"Già la nave si
stacca dal porto
e la folla
d'intorno plaudisce,
tutti restan, lui
solo partisce,
richiamato,
cornuto soldà."
Visibilmente risentito, don Nunziato, con le
vene del collo gonfie da farsi calare l'ernia, urlava da
scompigliare i capelli:
"Io non mi sono mai imboscato nelle retrovie a
fare l'attendente di nessuno. Non ho pulito il culo al maggiore
Curcio come hai fatto tu. Non solo sono stato in zona di guerra, ma
ho combattuto con onore e sono stato decorato al valore militare!"
“Vazzammàra vitti iù?”
rintuzzava in inglese Carmelo: anche lui sapeva le lingue! E poi con
calma imperturbabile, per una volta trionfante:
"Ha parlato il
benemerito della Patria, il colonnello Castagna, l’eroe di Giarabub!”
E gli canticchiava:
“Colonnello, non voglio il pane,
Dammi il piombo pel mio moschetto!
C’è la terra del mio sacchetto
Che per oggi mi basterà.
Colonnello, non voglio l’acqua,
Dammi il fuoco distruggitore!
Con il sangue di questo cuore
La mia sete si spegnerà.…
Colonnello, non voglio encomi,
Sono morto per la mia terra!
Ma la fine dell’Inghilterra
Incomincia da Giarabub.”
“Ah ‘nimàle, stortu, ringrazia i tuoi parenti
piuttosto, che ti hanno salvato la ghirba".
E continuava recitando a memoria il volantino di
raccomandazioni che il regio esercito distribuiva con i preservativi
alle truppe in partenza per la Libia:
“Le malattie delle donne sono un veleno
terribile. La lue africana brucia più di una fiamma. Non
dimenticarti mai di premunirti del superprofilattico che è la
guardia italiana degli italiani”.
A questo punto don Nunziato mollava il campo e
per non darsi vinto si allontanava minacciando con falsa animosità:
"Lasciatemi andare, altrimenti finisce male.
Come è vero Dio, faccio il terremoto di Casamicciola!"
"Via, vai via, cane malato!" lo accompagnava la
risposta di Carmelo, intento con teatrale voluttà a restituirgli la
grattata di schiena contro lo stipite della porta: una volta tanto
era riuscito a tenere botta all'amico. |