A noi bambini contava
il nonno - e accanto al focolare di pietra aveva il fiaschetto del vino
- che ci fu in Calabria un tempo remoto in cui la vite si coltivava
solamente per bellezza. La piantavano per le donne ed esse si adornavano
con i tralci, abbellivano i muri delle case vecchie, impergolavano i
cortili e ombreggiavano gli scoverti. Era una pianta che non dava
frutti e non fioriva e i contadini la relegavano nei terreni
aridi e secchi, ai margini dei coltivi. Ma albero che non dà frutto taglialo dal
piede. Con gli anni le viti si ridussero sempre più fin quando in tutta
la Calabria ne rimase una e una soltanto. Venne la primavera ed era
tutto un trionfo d’erba, di foglie e fiori. Il contadino decise di
tagliarla perchè le foglie della vite davano ombra ai seminati. Lo disse
alla moglie che, memore della gioventù quando con le amiche si ornava di
tralci il petto e i capelli, lo pregò di risparmiarla.
“Non la taglio“ le
rispose. “Ma la poterò in modo da farla diventare piccolissima e
limitare il danno. Il più possibile.”
Così disse e così
fece. Cominciò a potarla e alla fine rimase della pianta soltanto un
ramo corto e nudo. La vite pianse, pianse tanto che le sue lacrime
impantanarono la terra attorno e un risignolo, che si era
avvicinato a bere, si impietosì della sua sorte.
“Non piangere” le
disse. “Io canterò per te fino a quando le stelle del cielo non si
muoveranno a compassione.”
Quella stessa notte
volò fino alla pianta. Con le zampette si afferrò al povero tronco e si
mise a cantare. Cantò tanto dolcemente e con amore che la vite si sentì
tornare a nuova vita. Cantò per dieci notti e il suo canto appassionato
salì fino alle stelle del firmamento. E le stelle si commossero e fecero
calare un po' della loro forza sulla povera vite mutilata. Allora la
vite sentì scorrere in sé una linfa nuova. I suoi nodi si gonfiarono, le
sue gemme si inturgidirono e si schiusero. I primi pàmpini
tremarono al vento tiepido della primavera, e teneri riccioli si
allungarono come per avvolgersi in una delicata carezza attorno alle zampe
del risignolo.
Quando il
risignolo volò via, già i grappoli cominciavano a prendere colore, a
indorarsi alla luce del giorno. La vite era diventata una pianta da
frutto. I suoi grappoli avevano il calore del sole, la forza delle
stelle, la dolcezza del canto dell'usignolo, la luminosa grazia delle
notti estive e il profumo dell’alba.
Se venite in Calabria, vedrete queste piante.
Hanno nodoso ceppo basso e grossi tralci aggrovigliati sulla terra,
affollati di pàmpini verdi.
Torna su
|