DIZIONARIO FOSSATESE LETTERE "U - V"Uffa!: (anche uffu) uffa!. Mangiamu a uffa: mangiamo in abbondanza. Si ndi pigghiau a uffa: se ne preso in abbondanza. Ugghia: ago. Vedi vugghia. Ugghiata: filo di refe per l'ago. Vedi Vugghiata. Umbrella: ombrello, parapioggia, parasole. Alcuni usavano dire l’umbrella. Mi zziccai sutt'all'umbrella: mi son messo, al riparo, sotto l'ombrello. Mi son fatto proteggere da qualcuno, da qualcosa. Nda me umbrella capimu ddui: sotto il mio ombrello c'è posto per due; posso offrir protezione anche ad un'altra persona Unchiari: gonfiare. Nda' l'occhi unchiati: hai gli occhi gonfi.... non stai bene, hai gli occhi gonfi. A unchiaru: (parlando di lei): l'hanno gonfiata di botte;: ma anche: l'hanno convinta, gonfiandola con vari argomenti. Ti unchiasti?: hai mangiato?, ne hai abbastanza?. Unghia: unghia. Unghicchia, unghicedda: un pezzettino; proprio poco poco. Dal latino unghuiculus ,unghietta. Ungiri: (frequentemente llungiri): ungere, spalmare di grasso. Ungiti i viti: ungete le viti. Ungiti i rroti, si nno u carru non camina: ungete gli assi delle ruote, altrimenti il carro non si muove; provvedete a qualche raccomandazione, a qualche promessa, altrimenti le cose non vanno bene o vanno a rilento. Quantu nci dugnu na' ungiutedda: il tempo di dare appena un po' d'unto; datemi il tempo perché possa dirgliene quattro per convincerlo... per lusingarlo un po'; datemi il tempo di lisciarlo un po'. Untu: part. pass. di ungiri, con tutti i significati del verbo: unto. Urdimentu: ordito del telaio: fili verticali. Ursu: orso, scontroso, spigoloso. L'orso non esiste nelle montagne calabresi, perciò, non conoscendolo, gli si attribuiscono tutte le caratteristiche di perfidia, cattiveria, ma anche di forza bruta.
Us... spigghilu: incitamento al cane perché carichi l'avversario. Lo si indirizza anche ad uno spaccone che ne sta dicendo tante. Per il cane frequentemente si dice pigghilu! Ustari: (anche agustari, austari) poterebbe essere una deformazione dialettale di gustare: assaggiare, gustare, gradire. Utri: otre. Recipiente per il trasporto di liquidi ricavata da pelle di capra. L'animale veniva scuoiato interamente, facendolo uscire dalla parte posteriore aperta; le zampe ed il collo tagliati. La pelle, salata, veniva lasciata asciugare in ombra; quindi tosato il pelo e pulita veniva rivoltata chiudendo perfettamente con nodi sia la parte posteriore che la parte delle zampe e lasciando libero il collo per l'introduzione dell'imbuto. Utri è anche una misura di capacità: circa 40 lt., ma indica qualcosa di esageratamente gonfio. Dal latino uter e successivo utria , otre . Est unchiatu comu n'utri: è gonfio come un'otre. Ti fazzu comu n'utri: ti gonfio a schiaffi.
LETTERA “V”
Vacanti: (forse meglio la forma vakanti), nel discorso, parlato, facilmente, bbakanti: vuoto, senza niente. Mi rristau a casa vacanti: (dacché son morti i miei genitori), m'è rimasta la casa vuota; non c'è più nessuno. I faviceddi: (pisedda, fascioli, ranu) su vvacanti: i baccelli delle fave (piselli, grano, fagioli), son vuoti, prodotto di scarsa qualità e poco. U vidi ch'è vvacanti: (stai attento!), lo vedi, lo noti che quel tale è vuoto dentro, tutto fumo! Vacanza: vacanza. Termine giunto con il diffondersi (dell'obbligo scolastico), della possibilità di frequentare scuole elementari, medie. Le vacanza i vacanzi erano soltanto le vacanze scolastiche. Vaccarizziu: stalla per l'allevamento delle vacche; qualcosa di molto sporco e disordinato. Facistivu nu vaccarizziu: l'avete ridotto ad una stalla. Vacu, vaculu: vuoto; vago, senza precisi limiti. Vaddaira: (anche uallira o vallira) ernia, soprattutto ernia inguinale. Vagari, vaguliari: dondolarsi, perder tempo. Vaiassa: anche nella forma bagascia (più usato nella forma zassa) donnaccia, sgualdrina. Con la prima forma ortografica più comune nel significato di servetta Va-ja: orsù, via, presto. Si usava anche per dire: ma va! Non ce la raccontare. Datti da fare! Stai attento! Vajana: baccello. Frutto a baccello di fave (soprattutto), ma anche d'altre leguminose : ceci, piselli etc. In senso figurato anche per indicare gli organi di sesso o per specificare un tipo di contusione stretta e lunga o di ferita della stessa forma. Dal latino (faba) vajana , fava di provenienza esotica o anche da voci dialettali tipo bagiana , baccello.
Vajanedda: (pl. vajaneddi) baccello dei fagioli. Nell'uso al plurale significa "fagiolini" quelli teneri. Questo termine veniva usato per indicare esclusivamente i baccelli di fagioli, quelli da consumare teneri, verdi; naturalmente si estendeva il significato anche alla raccolta definitiva, ai baccelli secchi.
E così si diceva vajaneddi quarantini, paisani, i palu, cannellini, pasta....etc. da fagioli che impiegano appena quaranta giorni dalla semina alla raccolta, da fagioli piccolissimi e bianchicci, da fagioli rampicanti , da quelli simili a cannette sottilissime etc. che si usavano per minestroni estivo/autunnali sia con il baccello vero e proprio, se abbastanza tenero, che scurciuliati , cioé:tolta la buccia, il baccello. Si usava anche per indicar contusioni e ferite di poca importanza, come fosse diminutivo di vajana. Vajassa: (anche vajazza, al maschile vajassu) serva, schiava, villana, rustica; sgualdrina, bagascia.
Va 'jti! su andiamo!; lasciamo perdere; non dite sciocchezze; avanti, andate!; suvvia andate! Valora: (talvolta, in senso bambinesco Palor ), la cicatrice larga e rotondeggiante che resta dalla vaccinazione antivaiolosa (vaiola); in senso lato una cicatrice dell'anima che resta! Dal tardo latino, variola: vario, screziato. Nci ficinu na valora!: gli hanno fatto uno spacco! Valziri: walzer, danza tipicamente europea con particolari radici presso le grandi Corti delle grandi dinastie:Vienna, Parigi, Londra. Emigranti per lavoro imparavano, più o meno, a danzare e di ritorno diventavano maestri: walzer lento, veloce, viennese, strascicato (*), figurato, e quant'altra fantasia. (*) Era un termine forse inventato o mal tradotto che significava più o meno: danzar strisciando uno o tutt'e due i piedi, seguendo quel particolare ritmo. Ti fannu mi bballi u valziri: ti fanno rigar dritto; ti danno il ritmo da seguire. E' 'nutili chi bballi u valziri: è inutile che tenti di ....modernizzarti, che dai ad intendere di sapere, di essere aggiornato, moderno. Vantali: (dallo spagnolo avantal, grembiule) grembiule. Vantaloru: vanitoso, vanaglorioso, spaccone, borioso. Vappu: (è il napoletano guappu) smargiasso, spaccone; furbo, intelligente.
Vara: specie di tavolo con due stanti lunghi avanti e indietro, sul quale veniva poggiata la statua del Santo per la processione . Non ti vogghiu vidiri mancu arret'a vara: che non ti veda nemmen per caso; nemmeno in processione. Varari: (come in italiano) varare, iniziare, cominciare, alzare... Nci vara a sorta: gli vien voglia di ..... Come se iniziasse a voler qualcosa.... Vava: pupilla, parte sensibile dell'organo visivo....si dice vava i ll'occhiu. Nci calau a vava nda ll'occhiu (ddrittu, mancu) ha le cateratte all'occhio ds, sin... Vavà: (linguaggio imitativo dei piccolissimi) si vuole indicare un altro bimbetto ancora incapace di parlare, o anche un pupazzetto con il quale si può giocare. Dal latino pupilla, bambina. Ventu: (forse meglio la forma venthu) vento, movimento vorticoso dell'aria: leggero o violento. Fari ventu: far vento, far peti: emissione violenta, rumorosa e, talvolta, flatulenta di gas intestinali. Esti nutili chi ffa ventu: è inutile far vento; inutile agitarsi tanto, farsi notare. U ventu s'a' porta a palora: il vento porta via la parola: quanto detto rimarrà segreto! U ventu d'aprili rrumpi: il vento d'aprile provoca danni per la sua violenza. Ventula: ventola, ventilatore. Persona molto veloce. Com'o ventu (o ventula): velocissimo, ma che cammina disegnando cerchi. Vernaddì: venerdì, quinto giorno della settimana. Nci mmanchinu i vernaddì: gli mancano i venerdì, alcune rotelle; è un po' pazzerello. Mi pari nu vernaddì ssantu: mi sembra un venerdì santo. Il venerdì santo era il termine della quarantana (vedi), periodo di digiuno; un tizio allampanato, gracile, debole. Ti rriva nu vernaddì ssantu!: ti arriva una di quelle...! A po' jamu... vernaddì ssantu: poi andiamo... venerdì santo; cioè un termine molto lungo: il venerdì santo è una volta all'anno!. Vermu ( baco da seta ) 1): Il terreno collinare argilloso è adatto alla coltura del gelso (cezzu), sia bianco che nero, le cui fronde sono l'alimento unico ed indispensabile per l'allevamento del baco. Le foglie prelevate dai rametti dell'albero, secondo necessità, sfrondati con movimenti della mano dall'alto in basso, venivano tagliate su una tavola. Le foglie di gelso nero, essendo più ruvide venivano utilizzate soltanto negli ultimi periodi della crescita. Con il termine frunda s'intendeva indicare, per antonomasia, le fronde dei gelsi, necessarie all'alimentazione del baco da seta. 2): Il baco è un insetto dell'ordine dei lepidotteri che si sviluppa attraverso tre stadi di metamorfosi (bruco, crisalide, farfalla) e quattro mute, intervallati da periodi di letargo.
LE MUTE: Alba : I^ muta, le uova, già bianche, cominciano a schiudersi: è appena l'alba della vita del baco! Ditteri (o litteri): II^ muta, passaggio da uovo a piccolo bruco. Triti (o trita): III^ Muta, passaggio a bruco adulto. Casarru: IV^ muta, passaggio da adulto a "maturo". Per cominciare il ciclo della vita "ab ovo" alba, appunto, è opportuno dir subito delle uova: a simenza. La simenza, (detta anche nutricatu, probabilmente perché nelle prime settimane dev'essere nutrito con molta attenzione, vedi seguito) sia della propria produzione che comprata presso commercianti specializzati, veniva conservata per lunghi periodi in un astuccio metallico (specie di porta pillole odierno), che per proteggerla dalle basse temperature, veniva portato appeso al collo, quindi a contatto con la propria pelle e il proprio calore, dalla "mamma, responsabile" dell'allevamento . L'unità di peso era l'oncia (unza ), circa 30/35 gr.; di solito venivano mescolate proporzionatamente le due porzioni. Quando si prevedeva prossima la schiusura delle uova, queste venivano sistemate, svuotando il contenitore in un cestello (cannistreddu), foderato di carta bianca: era la vera semina, che avveniva durante l'ultima luna di febbraio o la prima di marzo. Nello stesso cestino si metteva l'alimento: sottilissime strisce di germogli di foglie di gelso bianco (proprio come il refe); gli insetti appena nati vi si attaccavano formando una specie di rosario di color nerastro, che, man mano schiariva. Il cambio del colore indicava che era necessario altro spazio; si provvedeva, quindi, a distribuire gli insetti in altri contenitori, sempre foderati di carta bianca (spurtuni). I contenitori venivano "custoditi" in una camera a temperatura costante e senza possibilità di "spifferi", essendo l'insetto sensibilissimo alle variazioni termiche: talvolta era anche necessario riscaldare l'ambiente con l'uso di bracieri nei quali, sistemati su tripodi di ferro, si mettevano dei contenitori d'acqua, la quale, bollendo, evaporava e forniva l'umidità necessaria. 3) Successivamente, ormai gli insetti di qualche millimetro, venivano sistemati su cannicci, impiantati e sorretti da apposite intelaiature di legno (cannizzi pu vermu ), e messi l'uno sull'altro, spaziati di circa 50/70 cm. tra di loro, nel primo periodo foderati di carta bianca. L'insetto cresce velocemente, diventando sempre più vorace! Le fronde vengon tagliate più grosse.... ma gli insetti... provvedono alle loro necessità fisiologiche e quindi bisogna, ogni giorno, pulire, eliminando gli escrementi e le foglie non completamente mangiate: fuja; (pron. J come ch francese di chose) venivano, poi, utilizzati come concimante: ma intanto che odore! Questo primo periodo del baco veniva detto putrigghiuni, perché cresceva velocemente. Quando il bruco raggiungeva 4/5 cm., si addormentava e lasciava la prima veste: spugghiava: una sorta di bava che diventava velocemente lanugine e che si raccoglieva: a tuppa. Successiva fase: crescita molto veloce, appena qualche settimana e, quindi, altro sonno e sicunda spogghia (si spogliava per la seconda volta); il sonno letargico, caratterizzava questa seconda fase. Ulteriore passaggio: triti (terza volta) voracità e rallentamento della crescita in lunghezza ma ingrassa raggiungendo quasi il massimo peso... quindi ulteriore sonno. Al risveglio è già completo come bruco e comincia a lasciare una bava simile a lanugine che viene raccolta; non è ancora seta, ma viene ammassata (tuppa) e si userà mista ai resti della vera seta per i capiccioli (piccoli capi, fili corti di fibra). Finalmente nchiana a ncunocchia: si realizza come bruco!, si attacca a rametti di ginestra, di gelso. Comincia a sputare la sua bava, non ha bisogno di alimetazione; **) con la bava si avvolge realizzando il bozzolo (funiceddu), ma lasciando abbondante quantità di lanuggine all'esterno: la bava secca velocemente. Anche questa lanuggine viene raccolta e ammassata: tuppa. 4) Il bruco dorme casarru e mentre dorme...s'imbozzola. Quando il bozzolo (funiceddu) raggiunge un bel colore dorato chiaro ed è ben coperto di lanuggine, vien pulito e raccolto. Le lanuggini raccolte, attoppate, sono sporche: bisogna pulirle e filarle poi, grossolanamente, per i capiccioli. I bozzoli (funiceddu potrebbe esser la volgarizzazione di filugello), selezionati, eliminati gli scarti, vengono infornati, sia per fra morire l'insetto che sta dentro, sia per far seccare la crosta; dal forno vengono tirati di un bel colore biondo dorato; urtandosi producono rumori simili a quelli delle noccioline americane: vi si assomigliano. Tra i bozzoli crudi vengono scelti i migliori per la produzione del seme; messi da parte e custoditi con molta attenzione fino a quando le farfalle non bucano la crosta; appena all'aria depongono le uova: piccolissime, nerastre... simili a semini di prezzemolo... un po' più piccoli. 5) LA SETA; I bozzoli vengono selezionati per uniformità e dimensione; quelli più piccoli producono filo più sottile, quindi più pregiato. Da questo momento inizia la selezione del filato! I grossi, per primi, vengono buttati in una caldaia d'acqua, sempre prossima a bollire (ma non deve mai bollire: la temperatura intorno ai 100° danneggia la seta!); nell'acqua cominciano a galleggiare. Con un'erbetta (rrizzuta) dal fusto, rametti e foglie, molto frastagliati, si cerca il capo filo e si comincia a tirare raccogliendolo sulla naspa (vedi), badando di farli accavallare mentre sono ancora caldi: si attaccherebbero. Messi in matassa e, successivamente filati, secondo necessità attendono il telaio per diventare tessuto, o, il commerciante per diventare denaro!. (**) Il baco da seta è voracissimo. E' stato calcolato che per la sua nutrizione, per tutta la vita, consuma materiale in ragione di 60.000 volte il suo peso alla nascita. Per capire bene: l'uomo nasce di circa 3 Kg e, vivendo anche fino a 90 anni e consumando una media di circa 3 kg al giorno raggiungerebbe appena 30.000 volte il suo peso alla nascita, cioè - a occhio e croce - 90 tonnellate di materiale consumato che, diviso per i 3 kg del peso alla nascita = 30.000 volte Modi di dire: Ngrassati comu o' putrigghiuni: ingrassate velocemente. Dormi casarru: dorme profondamente. U vermu zzurria: il baco produce un rumore, quasi fischio (vedi zzurriari), il rumore in effetti è prodotto dal modo di mangiare velocemente... da una miriade di insetti. Si zzurria est ura mi nchiana da ‘ncunocchia: se produce rumore è prossima la fine. Ncunucchiari oppure nchianari a' ncunocchia: è il culmine di un ciclo: l'uomo diventa adulto, l'albero comincia a produrre, l'animale è pronto per la riproduzione; spesso, in senso molto stretto, ha il significato di essere pronto per la riproduzione o, l'atto della riproduzione. Anche raggiungere lo scopo, soddisfare un desiderio. Tu no 'nchiani a' ncunocchia: tu non mi avrai; non ti consento
U vermu faci a sita... ma tu nfraciti: (giocando sul termine vermu: baco e verme) il baco fa la seta, ma tu non produci nulla, ti riduci a sporcizia, fradiciume. Vermu .... i chissi: (sempre sul doppio significato): codesto invece di essere un baco è un verme. Tradizione: normalmente era vietato “agli estranei“ l’accesso alle sale di coltivazione del baco da seta, per due motivi : a) perché porta male e perché nci jettinu u malocchiu e chi vede quella razia di Dio può restar meravigliato e ...provocare il malocchio ; b) (ma questo, probabilmente la gente di quelle epoche non lo valutava con attenzione) perché chiunque entra...può portar dei virus che infettano il baco provocando la morte. 6) Accessori per il taglio delle fronde: Cuteddu pa frunda: coltello per il primo taglio delle fronde; piano, molto lungo con la lama affilatissima. Usato solo per questo scopo e custodito con molta attenzione. Marrazzu pa frunda: sorta di mezzaluna molto larga, ben affilata; da una parte un comodo manico di legno e dall'altra un grosso anello per infilarvi il pollice ed esercitare il taglio con la forza di entrambe le mani. Per il taglio si procedeva: raccolta una buona quantità di foglie ed appoggiate al tavuleri, tenute ferme con le ginocchia, le si appoggiava il marrazzu, dando dei colpi in modo da fare un taglio netto. Per tener le foglie alcuni usavano u manganeddu, sul quale veniva legato, per l'anello, u marrazzu, realizzando un congegno simile a quello che usano i fotografi per tagliare i positivi. Tavuleri: tavolaccio molto robusto in legno duro (quercia). Attia cuteddu i frunda: a te coltello per le fronde; molto attento, preciso. Esti ‘nutili chi nci dati frunda i cezzu niru... na poti!: le fronde di gelso nero son molto dure: è inutile offrire cose che non può masticare. Va detto che non era infrequente una particolare "moria" (muria) del baco da seta dovuta ad una epidemia incurabile provocata da un fungo microscopico parassita che ricopriva il corpo del vermiciattolo impedendogli la crescita e riducendolo ad un ammasso informe ricoperto di uno strato biancastro (color "calcina") detto appunto mal calcino: u pigghiau a caggina, destinato a morte certa e violenta. Quest'epidemia si manifestava in maniera violenta e torbida soprattutto verso gli ultimi giorni prima che cominciasse a salire sui rametti "nchiana a'n cunocchia", quando cioè, già qualche baco stava iniziando ad imbozzolare. Questa malattia, spesso veniva indicata come murìa, mortalità senza motivo o altrimenti caggina. Verru: verro, maiale , maschio adatto alla riproduzione. U verru, sempri porcu esti: il verro... è sempre porco. Anche s'è un maschio, è un porco! Viatu: presto; ancora presto. Di origine catalana, aviat o viat: con lo stesso significato. Viddanu: villano, zotico; persona di campagna. Vidiri: vedere, scorgere, fare attenzione. Vidi chi ccadi: stai attento a non cadere! Non vidi nenti!: non vedi niente; sei cieco?; non vuoi scorgere nulla; non noti nulla. Non tu vidi u culu cu specchiu: E' proprio impossibile vedersi il didietro allo specchio: non puoi realizzare quel che pensi, non puoi concludere, ottenere..... Cu vitti vitti: chiunque abbia visto.... non mi riguarda proprio... son sicuro di me. Vinciri: vincere, guadagnare, ottenere, vincere al gioco. Ecchi vvincistivu?: e con ciò, cosa avete ottenuto, cosa avete vinto? Vittoria di Pirro! Vinci cu campa (cu campa vinci): vince chi vive (chi vive vince), nel tempo, ma non certamente a memoria di chi scrive, si duellava all'ultimo sangue!. Vigna: (o vignitu, soprattutto al pl. Vigniti), quando si vuole indicare più zone coltivate a vigna, vigna. Terreno e vitigni: la scelta del terreno è fondamentale per la buona riuscita dell'impianto; asciutto, molto ben esposto al sole, ricco di ferro e calcio. I vitigni (selvatico da mettere a dimora, detti bbarbatella) esenti da malattie e di buona qualità, spesso prodotti in loco, si ottengono per talea, mettendo in vivaio parti dello stesso selvatico: bbacchetti cu ll' occhi (n'occhiu i viti, un occhio di vite è esattamente la bombatura sul fusto dalla quale verrà fuori una gemma) abbastanza profondi ma in modo che restino fuori terra almeno tre-quattr'occhi; il vitigno mette radici e cresce sottile raggiungendo in circa tre anni anche altezze superiori ai due metri; dev'essere protetto dal vento, quindi mpalatu, appoggiato a sottili paletti di legno infissi nel terreno. Il terzo anno va potato: si tagliano i rami accessori, lasciando quello centrale, principale, a circa 30 cm. fuori terra; l'anno dopo è pronto per esser messo a dimora definitiva. Dissodare il terreno per la vigna: operazione molto impegnativa e faticosa: si scavano fosse trasversali al piano - montagna, parallele e distanziate (circa due metri tra i filari), profonde almeno un metro. Lavoro d'inverno: piccone e badile, molto sudore! Si sistemano i vitigni: la radice protetta immediatamente da un leggero strato di terreno soffice e quindi arricchito con stabbio, ancora un po' di terra, con l'attenzione di non far toccare tra di loro le radici delle diverse piantine...ancora un po' di stabbio (fumeri), riempita di terra la fossa, alla fine si batte con il badile per ottenere una superficie uniforme. Se il tempo è secco e caldo è d'uopo bagnare il fondo per consentire una immediata germinazione delle radicicole. Avanti così per tutto il progetto! Lasciando fuori terra, non più di tre quattro occhi...il resto va tagliato. Già a marzo- aprile le gemme gonfiano e subito spuntano le prime foglioline. Il primo anno: va bene così, ma già dal prossimo ottobre bisogna mpalari (mettere i pali) per proteggere le giovani piantine dal vento e, con la luna di gennaio ( ca criscitura, quando la luna è in crescita) provvedere alla potatura...e, appena le gemme si aprono ad innestare (nnistari, nsitari) mettendo su questo selvatico portatore le nuove specie; probabilmente già da quest'anno si vedrà qualche timido grappoletto d'uva. Di solito nei vigneti vi son tutte qualità da vino.( vedi rracina) La cura: l'annata agricola comincia in autunno, quindi anche la cura della vigna. Si verifica che tutte le viti innestate pigghiaru (l'effetto dell'innesto è stato positivo), quanti paletti occorrono, se è necessario sostituire qualche piantina ecc.. Gennaio: potatura, fatta in modo da abituare la giovane pianta a crescere rispettando, vagamente, un'idea di tre linee perpendicolari in un punto, cioè come le dita pollice, indice e medio aperte; il potatore rispetterà sempre, da questo momento, la posizione dei rametti lasciando sempre tre in ogni spalla importante (il resto va tagliato alla base e ci si prende cura, poi, che non produca germogli), rispettando non più di tre occhi per ogni rametto. Più in là, se necessario, bisogna sducchiari (togliere alcune gemme) che sarebbero superflue, sia per un fatto estetico che per la qualità del prodotto... maggior quantità a scapito della qualità. Quindi paletti e legatura agli stessi: verifica di tanto in tanto per nuove insorte necessità. I tralci di vite crescono velocemente...e molto lunghi, ma tendono ad appoggiarsi a terra a causa del peso è necessario alzarli prendendone tre quattro per ogni mano e legandoli tra di loro ed al paletto al di sopra del piede della vite madre, realizzando una vaga corona circolare, (mbazzari a vigna), intanto son ben visibili i grappoli ed è necessario nsurfarari, cioè spandere sui grappoli e sui rametti vicini una polvere composta da fiore di zolfo e latte di calce (surfuru) per combattere eventuali dannosi parassiti... i moderni anticrittogamici...erano da inventare! Spesso è necessario ripetere diverse volte quest'operazione. Intanto gli acini cominciano a prendere la forma di una nocciolina ed hanno bisogno del sole diretto, per cui si devono togliere foglie e rametti superflui (spudargari), servon bene come foraggio. Si spera quindi in qualche ...miracolosa.. pioggerella d'agosto, ma settembre secco e, verso metà settembre, più o meno, si poti vindignari, si può vendemmiare. La vendemmia: era una festa di famiglia, ci si aiutava a vicenda.. si richiedeva anche mano d'opera a pagamento. Ognunu u so panaru e u so cuteddu: ognuno il suo cestino ed il suo coltello di buon mattino s'inizia! Canti propiziatori, qualche preghiera, qualcuno il Segno di Croce, altri a nnomu di Ddiu, la padrona (quando ne ha possibilità) o una sua delegata, sceglie i grappoli migliori... da portare a casa, a parte: bisogna pur fare qualche presente! e regalare, oltre la paga, qualcosa a chi fatica tutto il santo giorno. La disposizione degli operai non può essere uniforme, dipende dalla quantità del prodotto (già valutato ad occhio di mattina presto): un gruppo di operai che taglia vindigna, dei ragazzotti, o, altri operai che trasportano i panara chini (i panieri pieni) e i sbarazzinu nde cufineddi o nde cofini, svuotandoli nelle ceste da basto o nelle ceste più larghe e basse, per essere trasportate sulla testa, le donne: a ntesta, sulle spalle gli uomini supra a spadda.... intanto le cavalcature approfittano per una buona colazione al pascolo: erbetta appena nata o erbe secche. Si provvede al carico e si parte verso il palmento: due tre animali affidati ad un ragazzotto, orgoglioso di poter essere utile e responsabile del carico; le ceste protette nella parte superiore con felci fresche o tralci di vite con fogliame abbondante. Ordine del padrone: offrire della buona uva ad eventuali persone che s'incontrano lungo strada (riferisce al ritorno!)... e così per tutta la giornata e, s'è necessario il giorno appresso ed il giorno dopo ancora. All'intervallo pranzo.. una ballata o, almeno, una cantata in coro..ma senza riposo, il tempo incalza e non ci si può distrarre: potrebbe arrivar pioggia che distruggerebbe il prodotto ancora sulle piante! A fine giornata: grazie, a buon rendere, a coloro che si aiutano reciprocamente (niddì, vindignamu ndi mia): lunedì vendemmieremo noi...esplicito invito per lo scambio della cortesia); chi lavora a giornata, pagato sul posto. A tutti qualche buon grappolo da portare a casa. Dopo la vendemmia: ragazzotti e donne spinninu i viti, tolgono le foglie alle viti. Le foglie, verde/rossastro, mature, sono un ottimo foraggio. Si stringono i tralci con una mano scorrendo l'altra stretta quasi a pugno chiuso dalla cima alla base: le foglie cadono, raccolte ed insaccate e trasportate alla stalla. In quest'occasione si fa una verifica: qualche tisiddu (grappoletto), è sfuggito ai vendemmiatori, viene raccolto... e se ve n'è rimasta molta... la si porta al padrone riferendo. Va precisato che quasi tutte queste operazioni devono essere effettuate a tempo secco! L'umidità o la pioggia durante la potatura, faci ciangiri i viti (fa piangere le viti), difatti dal taglio fuoriesce un liquido acqua i viti (nessuna parentela con l'acquavite, distillato!), che può essere raccolta: ottima per ammorbidire i capelli...e, forse per imbiondirli un po'. Per le qualità di uva da vino si dirà alla voce rracina. Vigogna: tessuto robusto ma di qualità scadente. Vistutu i menza vigogna: vestito alla buona . Vinedda: piccola via; viuzza di paese, larga appena qualche metro. Ma anche piccolo rione, vicinato. Dal latino venella, piccola via. Vineddi, vineddi: in giro, senza una meta; tra le viuzze. Si sentinu certi cosi...vineddi vineddi: il parlottar della gente, le comari che sanno tutto e diffondono nel bene e nel male, le notizie. Tanto, basta appena parlare a voce alta in casa, per fari ascoltare dai vicini di rione. Vintagghiu: ventaglio, arnese per farsi...un po' di vento. Vintagghettu: schiaffetto... anche di una certa importanza sia fisica che morale. Vinu: delizioso succo d'uva fermentato (vedi anche voci bbutti - parmentu - rracina – vigna -viti.) Bianco, rosato, rosso... rosso quasi nero. Eccellenza, qualità, gusto, abboccato dipendono da moltissimi fattori: qualità dell'uva, maturazione, terreno di produzione, esposizione al sole, piovosità dell'annata, tecnica di produzione, fermentazione in cantina, nelle botti di legno - qualità del legno- nelle bottiglie di vetro; anzianità (i rossi invecchiati, i bianchi giovani), adattamento alle pietanze. Come aperitivo: bianco secco; per carni rosse, rosso secco; per carni bianche, bianco; per dessert, bianco dolce......come digestivo, rosso forte e mieloso....Gli intenditori ad ogni annata di produzione, a seconda della qualità dell'uva, attribuiscono, in millesimi, una valutazione, ma la trattazione di ciò che appartiene alla cultura contemporanea esula dal compito che ci siamo prefissi e dal periodo che s'intende ... fotografare. Si produceva vino rosso, si beveva vino rosso: percentuali limitate di uva bianca, sapientemente mescolate alla rossa per conferire un certo abboccato; piccolissime quantità di vino bianco... giusto per qualche rara utilizzazione in cucina e, (soprattutto zzibbibbu) da accompagnare ai dolci, anch'essi di produzione casereccia. Messo nella botti di legno, il mosto, ha bisogno di un certo periodo, quasi due mesi,...per diventar vino; in genere dall'11 novembre in poi, ma dipende da tanti fattori. Il processo di maturazione è lento e continuo; a fine marzo, con temperatura esterna fresca, si travasa in bottiglie di vetro una certa quantità, lasciando, però, nelle botti una quantità sufficiente a tenerle mbunati (umide), e per impedire il passaggio di aria verso l'interno [l'ossigeno contenuto nell'aria, danneggia anche il vino già maturo] il foro superiore vien mantenuto chiuso; per questa chiusura si usava impastare dell'argilla grigia (crita), che veniva appoggiata ancora tenera d'impasto sopra il foro costruendovi una specie di piccolo cono di altezza molto piccola rispetto al raggio di base. Questa quantità di vino resta dentro fino alla prossima campagna...è il migliore: assume un profumo di cotto, colore denso e trasparente, tipico della qualità d'uva utilizzata, ma c'è il rischio che i microrganismi contenuti nella feccia (fezza), soprattutto se l'estate è veramente molto calda, lo danneggino. Per questo, solitamente le botti vengon sistemate in seminterrati o in ambienti poco esposti al sole. Il vino è una bevanda, sulle cui qualità ci sarebbe da scrivere trattati, ma talvolta, necessità fa virtù, diventa un mezzo per umettare ed insaporire il pan secco: N'aschia i pani cottu bbagnatu ndo vinu: (un tozzo di pan secco bagnato nel vino), era anche un modo di far colazione, o pranzo, o cena.... Curiosità: ricordi personali: intorno agli anni dell'immediato dopoguerra alcune giovani del paese, di colorito piuttosto pallido, usavano, anche di buon mattino, bere un buon bicchiere di rosso.... che rendeva subito il suo effetto facendole apparire rosee in volto... ma ahiloro!, il vino si "sentiva" e, si comprendeva perfettamente che non si trattava di un roseo naturale! Ancora oggi qualche persona anziana prima d'andare a letto, la sera, usa bere qualche bicchiere.. concilia il sonno! Vipira: vipera, rettile velenoso, non presente nel circondario. Si dice di persona che agisce come un serpentello velenoso. Virdi: verde, giovane e ancora vitale e capace di riprodursi. Ora chi nno nsu cchiu virdi: ora che non son più giovane. Quand'era virdi!: quand'ero giovane! Virdura: sia la verdura dei campi coltivati o incolti sia il frutto o le foglie di piante e pianticelle che servono da alimentazione umana o animale . Chi bella virdura ! che bell’orto ! Ma anche che bella ...cosa da nulla! O prim’agustu mangiamu virdura cussi non ndi pigghja diluri i testa: come se il fatto d’aver mangiato verdura bollita il giorno primo agosto...bastasse per evitare emicranie ... Virghetta: la vera ; la fede nuziale .Potrebbe essere un derivato dal latino, viria: braccialetto. Virghitu: giovane piantagione di castegneto o pioppeto. Il castagneto si "taglia" almeno ogni vent'anni per utilizzare il legname; sul tronco tagliato, raso terra, nascono giovani piante, inizialmente "verghe" che poi vanno scelte per lasciare ricrescere le migliori. Vedi riccippari . Virgini: vergine; con il solo riferimento ai prodotti della terra: ogghiu virgini: olio vergine; a me' ggiarra esti ancora virgini: il contenitore del mio olio è ancora pieno; ancora non ne ho venduto, per quest'anno. Virina: mammella degli animali domestici. Si dice, in senso spregiativo, anche per una donna. Nci mmustra i virini: vestita in modo molto giovanile... fa vedere qualcosa del suo petto! si mette in bella mostra! fa notare i suoi eccessi. Virità: verità, dire il vero, attestare, certificare. A virità nchiana sempri a ggalla: la verità vien sempre a galla. A virità è zzoppa e passa avanti: pur essendo zoppa, sciancata, handicappata....col tempo, riesce ad esser prima, ad apparire nella sua interezza. Date tempo: la verità compare! A mmia mi putiti diri a virità: a me potete dire il vero, (so tenere la bocca chiusa).
A Virità: Dio, la Verità. Virseri: il punto dove cambia la pendenza del tetto di una casa, di una collina ; l'asse di legno che serve da timone per il carro. Dal latino, vertere: modificare, tradurre, cambiare. Virseriu: era un intercalare utile per la rima. Virtu': capacità, operosità, virtù, attitudine, bontà; pudicizia. Uno …stornello: la vecchia, quand'è vecchia, va' pirdendu a so' virtù (*) L'anchi nci vannu a trincettu e lu culu nci faci pù pù. La donna, quand'è vecchia, perde la sua…pudicizia, il suo ritegno; le gambe diventano storte e …spesso fa .. pù pù. (*) proprio nel significato di pudicizia. Vistiri: vestire; vestirsi. Mi vistìa i giustizia: ho insistito; ho ottenuto; ho preso posizione; ho difeso i miei principi. Giammai: "mi son fatta giustizia". Vitirinariu: medico veterinario. Pi cchissu chiamati o' vitirinariu: per quel tizio (una bestia!), chiamate il veterinario. Vitriolu: il vetriolo, veleno e causticante dai terrificanti risultati . Vitru: (alcuni ..un po' per atteggiarsi dicevano anche vitriu) il vetro: semplice, bianco, colorato... Vittuccia:(anche fittuccia), vettuccia, striscia di qualcosa, non solo di stoffa. Mi teni a trizza, si menti a vittuccia nde capiddi: per tenere ordinati i capelli mette una striscia tra le trecce; a) non ha soldi per comprare u nastru; b) è molto ordinata. Vittoria: nome di donna. Vittoria: vincere in qualsiasi attività: gioco, affari, battaglia.... Volacipiti: bicicletta. Qualunque "congegno" moderno capace di fare camminare velocemente soltanto con la propria forza. Per la motoretta si direbbe motucipitu. Volantina: nome di donna: Jolanda trasformato in dialetto. Soprannome che si attribuiva ad una donna che volava... da un affetto ad un altro; instabile anche di umore. Volenderu: volandiero, persona che lavora soltanto saltuariamente per mancanza di lavoro. Vozzica: altalena; rischio. Vurpi: volpe, astuto, furbo. Alcuni usano dire anche, gurpi, soprattutto nel rione S.Luca. Vugghia: (nel linguaggio parlato anche ugghia) ago. Vugghiata: (nel linguaggio parlato anche ugghiata): circa un metro di refe da infilare all'ago; sufficiente per un certo tratto (ragionevole ed attento) di cucitura a mano. Si usa anche per indicare una certa, limitata, misura. Cu faci vugghiati longhi cunta c'u diavulu: chi mette troppo filo nell'ago rischia di trovarlo annodato, imbrogliato…e, deve aver la pazienza (spesso si perde: la pazienza!) di…sbrogliarlo. Si non fai u ruppu nda vugghiata perdi u filu e a tirata: se non si annoda il capofilo si perde il tempo, perché si sfila. Ma significa anche che ogni azione, opera, deve iniziare da un punto fermo, sicuro. Vutari: votare, voltare, girare, modificare, cambiare. Jstivu mi vutati?: siete andati a votare? Vota paggina: lascia perdere; cambia discorso; gira pagina. Votila chi ss'abbruscia: (l'ipotesi della carne che arrosti sulla graticola): girala prima che bruci. Non continuare su questo tono, altrimenti... è tutto perduto. Non ti accanire in questa direzione. Carcunu u vutau: qualcuno gli ha dato il voto; qualcuno l'ha indotto a cambiar parere. Eh!, cu u' poti mu vota?: eh! chi ha la forza di girarlo, di farli cambiare idea.
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