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L'articolo e le immagini sono state tratte dal Sito Ufficiale dell'Aspromonte - Sezione dedicata ai Comuni del Parco

   
 

 
PENTIDATTILO

 
Pentidattilo - Panoramica

INTRODUZIONE
Pentidattilo sorge in pittoresca posizione tra le colline che si affacciano sul Mar Jonio nella zona compresa tra Saline e Melito Porto Salvo, in provincia di Reggio Calabria.
Dal punto di vista paesaggistico è uno dei luoghi più suggestivi di tutta la regione. Già dal litorale si può ammirare l'imponente rupe sulla quale si arrocca il paese e che sembra alzare al cielo cinque dita di una gigantesca mano. Essa rappresenta la più interessante tra tutte le formazioni geologiche che, determinate da secolari processi erosivi, costellano le pendici aspromontane dello Jonio. Dopo un periodo di splendore, il paese ha vissuto una continua fase di alluvioni e terremoti. Attualmente si trova in stato di semi abbandono: arroccate sotto la protezione della grande rupe vi sono le abitazioni, molte delle quali abbandonate, accatastate l'una sull'altra in un insieme di tetti, scalinate, finestre e balconi, il tutto intessuto da una fitta vegetazione. L'eccezionale rapporto, appunto, tra le abitazioni e il verde circostante, caratterizza le strettissime viuzze del borgo. Percorrere i sentieri di Pentidattilo vuoi dire scoprire continuamente scorci e colori suggestivi, panorami di mare e di montagna, vuoi dire respirare il profumo di mille fiori e di un'aria incontaminata, nella quale si alzano gli umori del mare.
Dominano il paese la vecchia chiesa dei SS. Pietro e Paolo e il relativo campanile. Alle spalle invece ecco i ruderi del castello medievale. Ai lati le due fiumare Sant'Elia e Anna, che abbracciano le colline circostanti. Colline brulle, aride per gran parte dell'anno, ma pronte ad esplodere in un fiorire rigoglioso, tipicamente mediterraneo: fiori dai mille colori, ginestre, mimose, mandorli, ulivi, rosmarini, agrumi, gelsi e fichi d'India. Questi ultimi sono ovunque: lungo le strade polverose, sui pendii delle colline, sui muri delle case abbandonate e addirittura all'interno di esse.
L'atmosfera di antico, il silenzio, e la sensazione di solitudine rendono Pentidattilo ancora più attraente e misteriosa per il visitatore, in uno scenario a dir poco spettacolare e di incomparabile natura che si allunga a sud con una visuale protesa fino all'imbocco meridionale dello stretto di Messina e all'Etna fumante, a nord verso la selvaggia muraglia aspromontana, ad est si allarga alle ultime colline che dolcemente scendono verso il mare di Melito e ad ovest fino all'impressionante precipizio sulla fiumara. Scenario che rimase scolpito nella mente dello scrittore-pittore inglese Edward Lear durante il viaggio in Calabria del 1847, che lo disegnò e ne descrisse la magia e la bellezza nel suo JournaI o/a Landscape Pointer in Southern Calabria (London, William Kimber & CO., 1964). Poco è cambiato da allora. Il paesaggio è quasi immutato rispetto a quello descritto dall'ardito viaggiatore inglese, e ancora oggi il borgo mantiene intatta la sua configurazione urbanistica. I pochi abitanti rimasti però si sono spostati su una collina limitrofa creando un piccolo agglomerato di case che costituiscono la parte nuova del paese.
Anche visitatori e studiosi contemporanei restarono colpiti dal fascino di Pentidattilo:
G. Isnardi descrive la rupe come una "spugna dalla quale si staccano parecchi spuntoni che incombono minacciosi sulle case del paese"'".
Per E.Nucera: "è un villaggio, che, visto da lontano, appare come un nido di vespe, legato ad una rupe, con le sue casupole, in parte sfondate e a collette, quasi sovrapposte le une sulle altre, che sembrano vacillare ne! vuoto""'.

IL NOME
I
l nome Pentidattilo, o Pentedattilo, ha origine greca, pentedàktylos, che significa "cinque dita".
Chiaro il riferimento alla rupe che, osservata da più punti, assume la forma di una mano, sul palmo della quale si adagia il vecchio borgo, e con le cinque dita alzate al cielo.
 

Pentidattilo - Chiesa di San Pietro

La rupe è dunque il simbolo di Pentidattilo ed è anche il soggetto principale di tutte le credenze e le fantasie popolari del luogo, associate in particolare alla strage degli Alberti. Tra queste, le profezia secondo la quale, un giorno, la rupe a forma di gigantesca mano si abbatterà sugli uomini per punirli della loro violenza. Profezia che avrebbe determinato l'abbandono del paese.

LOCALIZZAZIONE
Pentidattilo, in provincia di Reggio Calabria, si trova a circa 30 Km. dal capoluogo, sul versante jonico meridionale, a 454 m. d'altezza. Fa capo al comune di Melico Porto Salvo, di cui è frazione.
Ben visibile da tutta la costa circostante, rappresenta, venendo da Reggio, il primo dei molti centri antichi sparsi alle falde dell'Aspromonte jonico che meritano di essere visitati almeno una volta; come ad esempio Bova, Palizzi, Condofuri, San Lorenzo: paesi di estremo interesse artistico e culturale che si stanno sempre più spopolando a vantaggio degli omonimi centri costieri. E ancora Bagaladi, Roccaforte del Greco, Galileiano, Rhogudi, Staiti.

L
e vicine Bova, Condofuri, Roccaforte del Greco, Galileiano e Rhogudi costituiscono l'area grecanica della provincia, la cosiddetta Grecia di Calabria. Un'area fortemente disgregata dove, in qualche luogo, ancora si conservano tradizioni e lingua direttamente ereditate dai Greci della Magna Grecia.

CENNI DI STORIA
Molto si è scritto sulla storia di Pentidattilo, tuttavia i dubbi restano sulle sue origini. La sua origine è forse bizantina, come sostengono in molti; o forse greca, risalendo addirittura al VII sec. a.C. C'è chi sostiene (E Nucera) l'esistenza in epoca romana di una stazione obbligatoria nei pressi dell'attuale abitato di Pentidattilo.
In età ellenistico-romana Pentidattilo sarebbe stato centro operoso e di rilevante importanza.
Non chiare anche le cause che portarono alla fondazione del villaggio in un punto cosi impervio. Forse la presenza di acqua, forse l'esistenza di un convento, più probabilmente la posizione favorevole a difesa dalle incursioni turchesche. Anche la crescita di Pentidattilo può inserirsi nel processo di spopolamento delle coste dovuto, oltre che ai frequenti assalti dei saccheggiatori, all'ambiente paludoso, malsano e insalubre, causa di epidemie e pestilenze. Pare che dopo la caduta dell'impero romano, il paese abbia avuto un periodo di decadenza.
Dal VI all' XI secolo subì la dominazione bizantina e, successivamente, quella normanna.
Ebbe il suo massimo splendore nei secc. Xlll e XIV
Nel 1462 fu saccheggiato da Alfonso d'Aragona, Duca di Calabria. Verso la fine del XV secolo divenne baronia dei Francoperta di Reggio, prima di essere acquistato dagli Alberti di Messina nel 1589. Nel 1686 fu teatro della strage che vide gli Alberti perire per mano del Barone di Montebello, Bernardino Abenavoli del Franco. Nel 1760 passava a Lorenzo Clemente, marchese di S. Luca. Comincia più o meno in questo periodo il lento declino di Pentidattilo. Il terremoto del 1783 lo danneggia seriamente, rendendolo quasi inagibile. Il processo di ripopolamento delle coste, "esploso" negli anni '50 di questo secolo a discapito dei centri montani e collinari, vide la crescita di Melito Porto Salvo, fino a quel momento villaggio di Pentidattilo. Melito, che si rese celebre anche per gli sbarchi garibaldini del 1860 e del 1862, divenne capoluogo di Circondario e, in seguito, il centro più importante di tutto il versante jonico meridionale, grazie soprattutto alla coltura del bergamotto. Pentidattilo pertanto fini per diventarne frazione.
Sicura la presenza a Pentidattilo di un gruppo di Grecanici fino alla fine dell'Ottocento, come risulta, tra l'altro, dai vari censimenti. Fedeli alla loro cultura, i Grecanici di Pentidattilo, come quelli degli altri centri dell'area, vivevano di agricoltura e di pastorizia, in volontario isolamento.
Come molti centri dell'area grecanica, Pentidattilo sorge a ridosso di una fiumara che rappresentava un elemento fondamentale nella vita e nella cultura di quei luoghi, specialmente per il lavoro femminile.
 

Pentidattilo - Vecchia Abitazione

Lo spopolamento di Pentidattilo fu accelerato da varie alluvioni che arrecarono ulteriori danni al borgo, determinando grossi rischi di frane. 11 terremoto del 1908 ne minò irrimediabilmente le strutture. Dal 1904 al 1921 vi esercitò la sua opera pastorale il Beato Padre Gaetano Catanoso. Lo spopolamento continua nel periodo tra le due guerre, con la forte ondata di emigrazione verso il nord Italia, le Americhe e la Francia.
Da una trentina di anni il paese è in stato di abbandono.
Un piccolo nucleo di abitazioni, sorto in un bassopiano adiacente, lungo la falda del monte Calvario, costituisce l'attuale abitato di Pentidattilo. Il vecchio borgo giace lì, silenzioso nel suo mistero e ansioso di riprendere vita.
Tra i cittadini illustri di Pentidattilo ricordiamo Pietro Vitale, abate di Grottaferrata, la Beata Orsola, del monastero della Candelora, e Papa Agatone, monaco benedettino eletto Papa nel 678.

PASQUA 1686:
LA STRAGE DEGLI ALBERTI

Storia e fantasia popolare si intrecciano nel racconto del tragico episodio di quella lontana notte di Pasqua del 1686. Evento che rende più interessante e misteriosa la visita di Pentidattilo.
Nel 1510 i Baroni Abenavoli, per i meriti acquisiti da Ludovico Abenavoli nella disfida di Barletta, ebbero in feudo un'estesa zona di territorio, comprendente anche Pentidattilo e Montebello. In seguito però persero gran parte di quelle proprietà, restando signori solo di Montebello, luogo della loro residenza. Pentidattilo passò nel 1589 ai Marchesi Alberti, originari di Messina. I rapporti tra le due casate si fecero da subito ostili, inasprendosi via via a causa di conflitti d'interesse riguardanti in particolare motivi territoriali e di confine. Si cercò tuttavia di arrivare ad un compromesso, soprattutto grazie alla mediazione del Viceré di Napoli, Don Petrillo Cortez, che organizzò un incontro, a Pentidattilo, che avrebbe dovuto affievolire l'astio e l'ostilità regnante tra le due case fino a quel momento. In quell'occasione, però. Bernardino Abenavoli, figlio del Barone di Montebello, ebbe modo di conoscere Antonietta, figlia del Marchese Alberti, innamorandosene a prima vista.
Sembra che anche Antonietta non fosse rimasta indifferente al fascino di Bernardino, col quale, grazie all'aiuto di terzi, avrebbe mantenuto una corrispondenza segreta.
Nel frattempo muore Domenico Alberti e gli succede il figlio Lorenzo. Anche Lorenzo, come in precedenza suo padre, negava a Bernardino la mano di Antonietta. Giorno dopo giorno il rancore e l'odio di Bernardino aumentavano. Tra l'altro, da un eventuale matrimonio con Antonietta, egli si sarebbe notevolmente avvantaggiato, acquisendo consistenti proprietà terriere. Intanto arrivò il tempo di un altro matrimonio, quello tra Lorenzo Alberti e Caterina Cortez, figlia del Viceré Pietro. Uno straordinario corteo portò la sposa e il suo seguito da Catena (luogo dello sbarco delle galee provenienti da Napoli) a Pentidattilo, passando per Reggio. La cerimonia, sfarzosa, favori l'incontro tra Antonietta e il galante Don Petrillo Cortez, fratello della sposa. Egli si invaghì subito di Antonietta che, apprezzando gli eleganti modi di fare del giovane, accettò la corte. I due iniziarono quindi a frequentarsi. Bernardino capi che i suoi progetti erano ormai falliti.
Offeso e ferito nell'onore meditò la vendetta: durante la notte di Pasqua, con al seguito un buon numero di uomini armati fino ai denti, iniziò il cammino da Montebello. I movimenti avvenivano in assoluto silenzio, affinché il vento, che forte attraversava le vallate, non aiutasse i guardiani del castello di Pentidattilo a percepire rumori e suoni sospetti. Arrivati sul posto, grazie all'aiuto di un tale Scrufari, un servo traditore. Bernardino e i suoi penetrarono nel castello da un ingresso secondario. L'epilogo è tragico: lungo i corridoi del castello "dalle trecento porte" cominciò la carneficina che non risparmiò neanche i bambini. Bernardino entrò personalmente nella stanza del Marchese Lorenzo, ferendolo ripetutamente e infine colpendolo mortalmente mentre dormiva accanto alla moglie Caterina, sopravvissuta alla strage. Tra i superstiti, oltre Caterina, fuggita poi a Napoli, ci fu, naturalmente, Antonietta. Quest'ultima fu condotta a forza a Montebello dove, contro il suo volere, andò in sposa a Bernardino. Don Petrillo Cortez, rapito e portato anch'egli a Montebello, fu a lungo tenuto prigioniero.
In seguito, però, Bernardino, braccato dalla giustizia, fu costretto alla fuga: mentre Antonietta riparò, probabilmente, a Reggio, egli andò a combattere sotto altra bandiera, forse a Vienna, arruolandosi nell'esercito imperiale. Combattendo contro i Turchi al fianco dei Veneziani, morì colpito da una palla di cannone.
Molte leggende del luogo si rifanno a quella strage. C'è per esempio chi racconta che il Marchese, colpito a morte dal rivale, poggiando la mano alla parete, lasciò l'impronta delle cinque dita insanguinate, simile, per forma e colore, alla rupe di Pentidattilo nelle albe limpide, quando le sabbiose pareti, colpite dal sole nascente dal mare, acquistano gradazioni rossastre. Oggi a Pentidattilo sono visibili solo i ruderi del vecchio maniero teatro di quel bagno di sangue.
La valli intorno alla fiumara, nelle ventose notti invernali, emettono un suono minaccioso che gli anziani della zona, raccontando ai più giovani di quella strage, identificano nell'urlo di rabbia e di dolore del Marchese ucciso in quella lontana notte di Pasqua.

 

PENTIDATTILO - Guida Turstica
Quanto sopra riportato è stato tratto da:

PENTIDATTILO - Guida Turistica
edita da
Laruffa Editore
 
 
 
 
 
 


 

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