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PAGINA 2 LA GRANDE GUERRAI fossatesi soldati della Grande Guerra si distinsero per coraggio ed amor patrio. Contadini semialfabeti furono sradicati dalla loro terra e mandati a combattere territori per loro del tutto sconosciuti una guerra che non sentivano e che non volevano. Buona parte di essi fu intruppata nella "Brigata Catanzaro" i cui Reggimenti valorosi si distinsero per il comportamento tenuto in combattimento. A seguire: l'onorificenza e la medaglia alla memoria conferiti ai due nostri poco conosciuti paesani, una medaglia per i vivi ed una per i morti. Abbiamo riprodotto inoltre gli articoli anche di giornali d'epoca che esaltano l'indomito coraggio e le atrocità della guerra. Ma denunciano gesti di sacrosanta ribellione dei nostri fanti. Onore e Merito a tutti: ai Cavalieri di Vittorio Veneto, ai Ragazzi del '99 e a quei pochi Classe '900 tra cui si distinse Sgro Francesco (Cicciu Ventu fratello di Vicè u Dannatu, Giuseppe Nicolò, Lorenzo Nicolò, Francesco Cannizzaro, Calabrò Domenico, e tantissimi altri di cui disconosciamo i nomi) anche lui ha avuto la medaglia commemorativa del 1921, e a tutti i "Fussatoti" sconosciuti, che padri di famiglia, immolarono la loro gioventù e la loro vita per una Patria spesso ingrata. Onorificenza e Medaglia di Giuseppe Nicolò
Il congedo di Lorenzo Nicolò
Croce al Merito di Francesco Cannizzaro
Croce al Merito di Francesco Cannizzaro
Un Reggimento di calabresi alla Grande
Guerra* di Giovanni Quaranta “Piccoli, bruni, curvi sotto il peso del grave fardello, scesero alle stazioni delle retrovie e si incamminarono verso le colline Carsiche gli umili fantaccini della remota Calabria, la forte terra dalle montagne boscose e dai clivi fioriti dove pascolano a mille i placidi armenti. Chiamati lontano dalla Patria in armi, questi poveri figli di una regione abbandonata lasciarono le loro casette sperdute tra i monti, abbandonarono i campicelli e le famiglie quasi prive di risorse e vennero su nelle ricche contrade che il nemico mirava dall'alto, bramoso di conquista e di strage. Percorsero tutta la penisola verdeggiante e sostarono nelle trincee scavate nella roccia e bagnate di sangue. Fieri e indomiti, cresciuti nella religione del dovere e del lavoro, i Calabresi non conobbero la viltà, non coltivarono nell’animo gagliardo il germe della fiacchezza: alla Patria in pericolo consacrarono tutta l’energia dei loro rudi cuori, tutto il vigore delle floride vite. Apparivano selvaggi, ed erano pieni d’affetti nobilissimi; sembravano diffidenti, ed aprivano tutto il loro animo a chi sapeva guadagnarsi il loro amore; all’ingenuità ed al candore quasi puerili univano il coraggio e la risolutezza dei forti. Un piccolo servigio, una cortesia usata loro, ve li rendeva fedeli fino ad affrontare per voi con indifferenza il pericolo. I compagni d’arme delle regioni del Nord, dividendo un vecchio pregiudizio, per il quale i fratelli dell’Italia inferiore erano considerati alquanto retrogradi e selvaggi, guardarono da principio con una certa noncuranza sdegnosa quei soldatini dalla parlata tanto diversa e così schivi di convenzioni; «terra mata» e «terra da pipe» erano gli appellativi che talvolta scherzosamente venivano indirizzati ai modesti gregari nati e cresciuti nelle terre del meridione. Però, quando la fama incominciò a diffondersi e a divulgare il loro valore e la loro audacia; quando si videro quei forti campioni muovere decisamente e costantemente all’assalto sanguinoso di posizioni inespugnabili; quando infine seppe l’ecatombe offerta dal popolo dell’Italia negletta, allora in tutto il Paese nostro si levò una voce concorde di ammirazione e di plauso e si benedirono quelle coorti di giovani dalla salda fede e dal fervido entusiasmo”. (S. Ten. Adolfo Zamboni) Numerosissime furono le località che videro in azione i Reggimenti della Brigata “Catanzaro”, ma, sicuramente, una menzione particolare la merita il Monte Mosciagh. Questo monte fu scenario di aspre lotte nelle quali la Brigata fu decimata, e legò indissolubilmente il proprio al nome del 141° dopo l’operazione del 27 maggio 1916. La stessa si svolse in un momento molto difficile del conflitto e portò il 141° Fanteria agli onori della cronaca ed ebbe eco in tutta la nazione. I nostri fanti recuperarono alcuni pezzi d’artiglieria da una posizione ancora tenuta dagli Austriaci sulla vetta della montagna, e dopo circa due ore di attacchi alla baionetta, riuscirono a cacciare definitivamente il nemico dalle posizioni iniziali conquistandone in definitiva anche l’armamento. L’episodio meritò la seguente citazione sul Bollettino di Guerra del 29 maggio 1916 n.369 a firma del Gen. Cadorna: “Sull’altopiano di Asiago, le nostre truppe occupano attualmente, affermandovisi, le postazioni a dominio della conca di Asiago. Un brillante contrattacco delle valorose fanterie del 141° reggimento (Brigata Catanzaro) liberò due batterie rimaste circondate sul M. Mosciagh, portandone completamente in salvo i pezzi”. La cosa fu ripresa dalla stampa nazionale dell’epoca tanto da meritare la prima pagina sulla Domenica del Corriere che con una bella illustrazione di A. Beltrame fece conoscere all’Italia intera come “Un brillante contrattacco dei valorosi calabresi del 141° fanteria libera due batterie rimaste circondate sul monte Mosciagh”. Da questo glorioso fatto d’arme il 141° ne trasse quello che da allora fu il suo motto: «Su Monte Mosciagh la baionetta ricuperò il cannone». Tra le pagine della storia della Brigata Catanzaro, però, ve ne sono alcune tra le più tristi dell’intera storia del nostro esercito. Era il 27 maggio del 1916 e la Brigata era stata trasferita da alcuni giorni sull’Altopiano di Asiago. I tragici avvenimenti che culminarono con la fucilazione di 12 militari si svolsero sulle pendici del Mosciagh e furono la conseguenza dello sbandamento in condizioni difficili di quasi tutta la 4a compagnia del 141°. Il Col. Attilio Thermes, comandante del reggimento, in ottemperanza alle disposizioni emanate dal Comando Supremo, ordinò l’esecuzione sommaria senza processo per un sottotenente, tre sergenti ed otto militari di truppa da estrarre a sorte nella ragione di uno a dieci. Per questo ordine il Col. Thermes fu il primo ufficiale italiano ad essere citato in un Ordine del giorno del Comando Supremo e questo non per un glorioso fatto d’arme ma per aver fatto fucilare i propri soldati! In realtà la brigata si comportò piuttosto bene nei combattimenti di quei difficili giorni e non meritava un tale trattamento, dovuto in buona parte al fatto che i successi austro-ungarici facevano perdere la testa ai comandi. Questo episodio, comunque non intaccò il morale della Brigata che continuò sempre e comunque a fare il proprio dovere tanto che S.M. il Re, con decreto del 28 dicembre 1916, concesse motu proprio alla bandiera del glorioso 141° Reggimento la MEDAGLIA D ’ORO al valor militare con questa motivazione: «Per l’altissimo valore spiegato nei molti combattimenti intorno al San Michele, ad Oslavia, sull’Altopiano di Asiago, al Nad Logem, per l’audacia mai smentita, per l’impeto aggressivo senza pari, sempre e ovunque fu di esempio ai valorosi (luglio 1915 – agosto 1916)». Anche la bandiera del 142° ebbe la sua meritata decorazione con la concessione della Medaglia d’Argento al valor militare.
Diversi mesi dopo, i soldati dei due reggimenti della Catanzaro furono protagonisti della più grave rivolta nell’esercito italiano durante il conflitto. Questo triste episodio si svolse a Santa Maria La Longa dove la brigata era stata acquartierata a partire dal 25 giugno 1917 per un periodo di riposo. La notizia di un nuovo reimpiego nelle trincee della prima linea fece, pian piano, montare quella che in poche ore sarebbe diventata una vera e propria rivolta. I comandi, avendo avuto notizia da informatori di quanto doveva accadere fecero infiltrare nei reparti alcuni carabinieri travestiti da fanti e si era disposta la dislocazione di più di cento carabinieri nelle immediate vicinanze. Alle ore 22 del 16 luglio 1917 iniziò il fuoco che durò tutta la notte. I caporioni di ogni reggimento assaltarono i militari dell’altro inducendo gli stessi ad ammutinarsi e ad unirsi a loro. Molti caddero morti sotto il fuoco dei rivoltosi, altri ne rimasero feriti. Appena il Comando d’Armata ebbe notizia di quanto stava avvenendo dispose le opportune contromisure inviando sul posto altri carabinieri su autocarri, quattro mitragliatrici, due autocannoni e con il preciso ordine di intervenire in modo fulmineo e con estremo rigore. La lotta durò tutta la notte e cessò all’alba dopo l’intervento degli ufficiali della brigata e dei carabinieri con mitragliatrici ma, soprattutto, dopo l’arrivo ed il posizionamento degli autocannoni. Sedici militari presi ancora con l’arma scottante furono immediatamente condannati alla fucilazione. A questi avrebbero dovuto aggiungersi altri 120 uomini, ma per limitare le fucilazioni si dispose di procedere al sorteggio del decimo di essi e, quindi, altri 12 si andarono ad aggiungersi alla lista. I 28 militari furono fucilati immediatamente nel cimitero di Santa Maria, alla presenza di due compagnie, una per ciascun reggimento. “Calabria Sconosciuta”, Anno XXVIII, n. 106 – Aprile –Giugno 2005 La rivolta della "Catanzaro" finisce al muro del cimitero di S.Maria la Longa di GiraContributi di Adolfo Zamboni, Mario Saccà e Fabrizio Cece 16 Luglio 1917 (...) Durante la notte presso la Brigata Catanzaro che doveva partire alle ore 6.30 per passare alle dipendenze del XIII Corpo d'Armata, si verifica un movimento di rivolta alla quale si fa fronte con l'invio sul posto degli squadroni già precedentemente citati e con succesive richieste al Comando d'Armata di autoblindomitragliatrici e di artiglieria autocampale (antiaerea). La rivolta è scoppiata verso le ore 23 del 15, in più punti, e si è successivamente estesa a tutta la brigata, diventando gravissima, dopo la mezzanotte nella 6a compagnia del 142° fanteria. E' durata tutta la notte; all'alba di oggi avuta ragione dei rivoltosi si è proceduto alla fucilazione immediata di 28 militari, dei quali 16 presi con l'arma alla mano carica ed ancora calda per gli spari, e 12 estratti a sorte per la decimazione ordinata da questo comando nella notte, prima ancora che la rivolta fosse stata domata; altri 123 militari sono stati arrestati e deferiti al tribunale di guerra. Alle ore 7 giunge il fonogramma del Comando d'Armata N°5778. Si deplorano, per cusa dei rivoltosi, le seguenti perdite: morti ufficiali 2, truppa 1, feriti ufficiali 1, truppa 13 presso il 141° fanteria, e presso il 142° morti truppa 2, feriti ufficiali 2, truppa 6; fra i CC.RR. si è avuto un morto di truppa (....) Questo è parte di quanto riporta il diario storico del VII Corpo d'Armata riguardo la "rivolta" dei due reggimenti il 141° e il 142° della brigata Catanzaro a S.Maria la Longa, un paesino del Friuli diventato durante le offensive sull'Isonzo un importante centro logistico della IIIa Armata. Qui dopo settimane di combattimenti la brigata, dal 24 giugno, dopo essere stata rilevata dai Granatieri di Sardegna, avrebbe dovuto avere un meritato periodo di riposo di oltre venti giorni, prima dell'inevitabile ritorno in linea. Ma il giorno 15 luglio pervenne alla brigata un ordine di movimento che imponeva ai due reggimentidi abbandonare gli accantonamenti e di portarsi in due giorni di marcia a Staranzano, a disposizione del XIII Corpo d'Armata. Un chiaro segnale di un prossimo ritorno in linea, e di un ennesimo massacro per i fanti di questa già martoriata brigata. La notizia è accolta con chiaro disappunto dai soldati che si sentono per l'ennesima volta sfruttati e defraudati dei loropiù elementari diritti e la rabbia cresce durante la giornata per esplodere furiosa al tramonto. Dal diario storico del 141°: (...) Verso le 22.30 si udirono negli accantonamenti della Brigata colpi di fucile dovuti ad alcuni facinorosi in segno di protesta contro il ritorno del reggimento verso il fronte. L'intervento degli ufficiali valse a calmare le truppe ed a frenare i rivoltosi.(...) Messa così la cosa sembrerebbe niente di più di una delle numerose piccole proteste che caratterizzarono la permanenza in trincea di numerosi reparti, ma purtroppo la faccenda si rivelò molto più grave, da come si può dedurre dalle ultime righe del diario storico citato, in quanto, senza nessuna particolare annotazione vengono riportati l'uccisione di un ufficiale, il tenente Roberto Puleo, ed il ferimento di altri due, il maggiore Vincenzo Janni ed il tenente Giulio Bassi, nonchè la morte di tre militari di truppa e il ferimento di altri undici, dati che tra l'altro non coincidono con quelli riportati dal diario storico del VII corpo d'Armata più su citato. L'episodio è l'unico avvenuto durante la guerra che possa essere considerato come un vero e proprio ammutinamento verificatosi nei ranghi del Regio Esercito, in quanto coinvolse soldati di entrambi i reggimenti e nella sparatoria trovarono la morte due ufficiali e nove soldati, oltre al ferimento di altri due ufficiali e di 25 soldati. Per riportare l'ordine furono impiegati reparti di cavalleria e autoblindo che dovettero , anche il giorno dopo, scortare la brigata nella sua marcia di trasferimento. Le conseguenze di questa rivolta furono tremende: 28 militari, 12 del 141° e 16 del 142°, tra i quali 12 della 6a compagnia, la sola che si era ammutinata in massa furono fucilati sul posto, 123 soldati furono denunciati al tribunale di guerra, che con sentenza del 1 agosto 1917, ne condannò 4 a morte mediante fucilazione al petto, come principali promotori della rivolta, ed altri ritenuti solo complici, ad una pena di 15 annie 10 mesi di reclusione militare. La vicenda si concluse con l'inevitabile trasferimento di alcuni comandanti e la sua archiviazione, rimanendo però come il segno più evidente del logoramento a cui le durissime condizioni di guerra avevano portato l'esercito italiano, rimanendo però un caso isolato, pur lasciando una dolorosa impressione perchè accaduto in una brigata come la Catanzaro ben nota per la sua fama di combattente, tanto da venir più volte decorata per il suo valore. Del resto i fanti della Catanzaro , dopo questo sussulto rivoluzionario, sarebbero tornati a morire con la rassegnazione e il coraggio di sempre. Di questo triste episodio troviamo notizie di prima mano anche nel "Diario di un imboscato" di Attilio Frescura. (...) 16 giugno Un episodio doloroso: la rivolta della brigata Catanzaro, i cui due reggimenti sono fregiati di medaglie d’oro e d’argento, segni del valore e del sangue. Una celebre brigata, che accorsa in Trentino nel maggio del 1916, ha compiuto prodigi di eroismo, ripetendoli di poi, ancora sul Carso, sul Nad-Logem, a Monte S. Michele, a quota 208 Nord, sul Nad-Bregom, nelle tre battaglie dell’ottobre e novembre 1916 e in questa del maggio. Sfruttata, credendosi perseguitata, perché ai numerosi siciliani che la compongono le licenze ordinarie sono concesse per pochi giorni al mese (si sono formate delle bande di disertori, in Sicilia, che si difendono nelle trincee!) la brigata al grido: « Vogliamo cambiar fronte! » è corsa questa notte alle armi, sparando fucili e mitragliatrici all’impazzata. Si deplorano dei morti, ufficiali e truppa e carabinieri, e dei feriti. Vi sono stati 28 fucilati sul posto e altri 127 tradotti alle carceri: non avranno anch’essi una sorte migliore. Così, nel sangue fraterno, questa brigata ha ritinto il rosso delle sue bandiere! Ciò si deve all’opera dei «complementi » che provengono dai feriti, dai condannati e, sopra tutto, dai riformati, che si sono a lungo dibattuti fra una visita e l’altra. Costoro portano il loro disperato tenace attaccamento alla vita. Essi sanno che sul Carso - e nella brigata Catanzaro - fatalmente si muore. Speranza non c’è. Allora, come bestie inseguite, essi si difendono e urlano il loro diritto alla vita. E, nel morire, essi tentano la loro disperata difesa. Intanto oggi è stato denunciato al tribunale di guerra, per avere in una lettera propalato la notizia, un soldato che ha cominciato così: I fratelli hanno ucciso i fratelli. La retorica è sempre dannosa... Anche quella dei propagandisti delle nostre gazzette. I quali farebbero opera ben migliore se persuadessero il Paese a tenere un contegno in armonia al duro sacrificio dei combattenti e se ai combattenti facessero giungere immediato il conforto delle provvidenze sociali a favore delle loro famiglie, nonché se persuadessero S. E. Cadorna a mutare strategia. L’episodio della brigata Catanzaro è isolato. Che esso sia un monito, però! Quale era il sentimento che attraversava i soldati e ufficiali della Catanzaro riguardo questo episodio, le cause che lo determinarono e le conseguenze che ne derivarono, appare chiaro da queste due lettere pubblicate la prima sull' Avanti il 16 agosto 1919, la seconda sul Giornale del Popolo il 24 agosto 1919 che l'amico Adolfo Zamboni con la collaborazione di Fabrizio Cece ci ha riportato: Dalla prima pagina dell’ “ Avanti ! “ del 16 agosto 1919 Soldati che si ribellano e sono fucilati a Santa Maria La Longa Caro “ Avanti ! “ La campagna da te così coraggiosamente iniziata contro i fucilatori è sacrosanta e tutti gli onesti, a qualunque partito appartengano, devono approvarla. Ma se tu volessi registrare tutti i casi di barbarie verificatisi durante la guerra, del genere di quelli con tanto cinismo confessati da Graziani, dovresti pubblicare per parecchie settimane un numero quotidiano di 16 pagine. E nemmeno, forse, esauriresti la materia. Poiché la guerra, coi poteri straordinari e brutali conferiti a migliaia di delinquenti, degenerati, megalomani e prepotenti, investiti di comando e spesse volte premiati per l’energia dimostrata verso i disgraziati che erano alle loro dipendenze, ha giustificato dinanzi alle inumane leggi militari gli assassini compiuti freddamente, premeditatamente per puro spirito di malvagità. Chi potrà mai descrivere l’orrore delle decimazioni ordinate da Comandanti di Corpi d’Armata e di Divisioni? Compagnie, battaglioni, reggimenti, brigate intere allineate per assistere alla nefanda scena dell’assassinio dei loro commilitoni, scelti dal caso. Tristissimi ricordi che la mente vorrebbe aver per sempre dimenticati. Ti voglio citare soltanto il tragico fatto della brigata Catanzaro (così si chiamava quella composta dal 141 e 142 fanteria). Quegli infelici soldati, dopo oltre due anni di ininterrotta permanenza nell’inferno del Carso, dopo un turno di oltre quaranta giorni di trincea, scalzi, cogli abiti a brandelli, pieni di pidocchi, emaciati e stremiti dalle fatiche e dalle privazioni, ridotti ad uno stato addirittura spettrale, furono finalmente mandati a riposo a Santa Maria la Longa. Nella brigata, da parecchio tempo, serpeggiava un vivo malcontento pel rancio scarsissimo e pessimo, pei lunghi turni di trincea, pei brevissimi periodi di riposo, per la mancanza o pei ritardi enormi delle concessioni di licenze (allora v’era la licenza annuale di quindici giorni, ma quattro quinti dei soldati non riuscivano ad averla nemmeno dopo 18 o 19 mesi ! ), per lo spettacolo demoralizzante che si ripeteva ormai da troppo tempo di reparti mandati al massacro – inutile massacro ! – da capi megalomani e cocciuti, che si facevano poi belli dell’ardimento e dello spirito di combattività da essi ( ! ) dimostrato per scroccare promozioni per merito di guerra e decorazioni ! Sono cose queste che tutti quelli che sono stati al fronte sanno benissimo. Ma ritorniamo al 141 e 142. Dicevo dunque che i poveri fanti erano andati a riposo a Santa Maria la Longa. Per calmare la loro legittima esasperazione era stata sparsa fra i soldati la voce che dopo un lungo turno di riposo, tutta la brigata sarebbe stata trasferita su un fronte calmo: la Carnia o il Cadore. Passano quattro o cinque giorni ed arriva dalla Divisione un fonogramma che richiamava tutta la brigata in linea con la massima urgenza. Vistisi turlupinati in modo così barbaro, i poveri fanti che non erano riusciti nemmeno ancora a spidocchiarsi, perdettero la pazienza e si ribellarono ai propri ufficiali. Inutile dire quel che avvenne. Giudizi capitali pronunciati ed eseguiti a tamburo battente contro soldati, forse innocenti dell’ammutinamento, decimazioni, ecc. ecc. I sopravvissuti dei due reggimenti, incolonnati fra due file di automitragliatrici blindate con l’automobile del generale in testa, ricondotti, come un branco di pecore spaventate, in trincea. Sarebbe da meravigliarsi se tali soldati si fossero, alla prima occasione propizia, arresi al nemico ? Il fatto avvenne nei primi di luglio del 1917. Che dire poi di ufficiali i quali si vantavano, pubblicamente in presenza di ufficiali e soldati, di aver ucciso a rivoltellate soldati ed ufficiali subalterni durante le azioni ? Un ufficiale Da Il Giornale del Popolo del 24 agosto 1919 La Brigata Catanzaro e la Commissione d'inchiesta Ill.mo Signor Direttore, In una delle lettere di S. E. il generale Cadorna al Governo, pubblicate nella relazione della Commissione d’Inchiesta per i fatti di Caporetto, è rilevato un episodio doloroso della Brigata Catanzaro. Così come viene esposto, senza aver accennato alle cause che l’hanno generato e senza aver detto con quali atti di valore la Brigata abbia cancellato dopo di quell’episodio la sua macchia, esso può produrre in chi legge una valutazione che non risponderebbe alle tradizioni di gloria e di sacrifizi ormai consacrate nella storia della “Brigata di ferro” (frase di S. E. il generale Cadorna). Nella lettera suaccennata sembra che la rivolta della Brigata Catanzaro sia uno dei sintomi precursori della disfatta di Caporetto e si ricolleghi a tutte quelle manifestazioni di disfattismo che cercavano di annullare i generosi sentimenti ed il valore nell’animo del soldato italiano. Invece la rivolta fu generata da ben altre cause. La Brigata Catanzaro è stata una di quelle poche che hanno assolto il compito di brigata di assalto sul Carso dal giugno 1915 al settembre 1917. I due reggimenti presero parte a tutte le azioni svoltesi sul Carso e concorsero potentemente ad arrestare l’offensiva nel Trentino, dove il 141° conquistò tanta gloria nel ritogliere alla baionetta agli austriaci alcuni cannoni nostri caduti in mano del nemico, sul Mosciagh. Per tanti atti di valore, che credo inutile enumerare, al 141, di motu proprio di S. M. il RE, fu assegnata la medaglia d’oro con una motivazione che affermava essere stato “sempre ed ovunque di esempio ai valorosi”; e al 142° la medaglia di argento. Sin dalla fine del 1916, per gli enormi sacrifici di vite dati dalla Brigata sulle aspre rocce del Carso, generali comandanti di divisione e di corpo d’armata promisero agli eroici fanti un avvicendamento su altra fronte più calma. Di ciò possono fare altissima testimonianza S. E. il tenente generale Sailer ed il maggior generale Thermes. Queste promesse non furono mai mantenute, anche quando dopo l’offensiva del maggio – giugno 1917 la Brigata fu stremata quasi completamente. Quando, dopo un piccolo periodo di riposo, i vecchi elementi della Brigata seppero che si sarebbe ritornati sul Carso, e per la grande offensiva dell’Hermada, scoppiò istintivo un movimento di rivolta, che si accese violentissimo per la stessa natura dei fanti, quasi tutti meridionali. A riprova di questo c’è il fatto che tutti i soldati, in quella notte della rivolta, gridavano: “Vogliamo far la guerra, ma su altra fronte! Ci sono molte Brigate imboscate in Carnia e sul Trentino!” E che l’animo dei nostri soldati non fosse inquinato dal disfattismo, lo prova il valore spiegato dalla Brigata stessa nell’offensiva dell’agosto - settembre 1917 (Hermada) valore che fu esaltato (e per la terza volta durante la guerra) in un bollettino di guerra del Comando Supremo. Quando fu noto il disastro di Caporetto ai nostri soldati essi piansero ed asserivano ingenuamente (eravamo allora in Val d’Astico, nel Trentino) che se ci fossero stati loro il disastro non sarebbe avvenuto. Questa è la verità, signor Direttore, e spero che Ella voglia farla rifulgere dalle colonne del suo giornale. E mi permetto esprimere il doloroso stupore mio e di tutti i miei colleghi perché un fatto di simile natura sia stato reso pubblico, in quel modo, senza i particolari necessari per lumeggiarne la vera essenza e citando il nome della gloriosa Brigata – certamente una delle più belle fra le Brigate di nuova formazione dell’esercito italiano – quando quei dolorosi episodi, più o meno gravi, per le identiche ragioni cui sopra ho accennato, si sono verificati in quasi tutte le migliori Brigate che hanno combattuto sul Carso. Come ultima prova di quel che ha dato alla Patria la Brigata Catanzaro, le basti sapere che i complementi ricevuti da essa dal giugno del 1915 all’ottobre del 1917, per sopperire alle perdite patite, superano i trentaseimila. Ringraziandola per la cortese ospitalità mi creda Ten. Giorgio Nuanes Ufficiale di collegamento P.141. Regg. Fanteria FOTO: 1: La cerimonia della consegna delle medaglie al valore alla Brigata Catanzaro presso Aiello il 26 aprile 1917 (archivio Adolfo Zamboni) 2: La cerimonia della consegna delle medaglie al valore alla Brigata Catanzaro presso Aiello il 26 aprile 1917 (archivio Adolfo Zamboni) 3: Cimitero di Santa Maria la Longa, il muro dei fucilati (foto Mario Saccà) 4: Cimitero di Santa Maria la Longa, in memoria dei fucilati della Br.Catanzaro qui uccisi (foto Mario Saccà) 5: Cimitero di Santa Maria La Longa, il mio ricordo (foto Mario Saccà) 6: Vecchia targa (foto Mario Saccà)
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