I FIUMARI I’ FUSSATU
II^ PARTE
Questa
seconda parte la scriviamo in lingua patria per una più
immediata lettura e comprensione non tralasciando,
all’occasione, le nostre espressioni dialettali qualora esse
possono rendere meglio l’idea e l’identificazione dei
luoghi.
Nella prima
parte avevamo lasciato san Pietro che indugiava in un
meritato riposo, dopo la fatica della giornata. Fatica che
era dovuta al lungo giro delle nostre fiumare, per dare loro
un nome, obbedendo agli ordini del Padreterno. E mentre
godeva del riposo già pregustava il divertimento delle prime
piogge. Come dicevamo il nostro Fossato una volta non era
così come ora. Non c’erano ancora insediamenti umani e tutto
era in balìa delle forze della natura. Il personaggio del
“Loco”, visto da san Pietro, fu una fugace apparizione,
diciamo una magìa del Padreterno per mettere subito alla
prova la volontà e la capacità di san Pietro. Immaginiamo
quindi il nostro paese quando i primi erranti decisero di
stabilirsi e mettere radici, incantati dalla bellezza
selvaggia della zona. Doveva essere un periodo di piogge, le
fiumare erano in piena, per cui i primi insediamenti si
mantennero alti. Vediamo le prime costruzioni nella parte
alta della contrada San Luca, Rovere, Fossatello, Serro,
nella zona di San Giovanni sopra l’attuale Mulino, le
vecchie costruzioni del Casaluccio, Coletta, San Marco,
Urgori, Sant’Anna. Gruppuscoli di antiche costruzioni
separate l’una dall’altra come se fossero abitate da piccole
colonie umane di diversa origine. Non c’era ancora un grosso
centro che facesse da amalgama, che raccogliesse in una sola
comunità tutte le piccole frazioni. La colpa di questo fu
delle Fiumare, che alle prime piogge si scatenarono nella
corsa per arrivare prima a valle, verso la Nunziata. Gli
esseri umani osservavano dall’alto dei loro rifugi,
impotenti di fronte a queste furie scatenate, non mancando
di osservare che alcune fiumarelle facevano la loro parte
apportando, nel loro piccolo, sostanziali contributi di
forza dirompente alle fiumare grandi più vicine. Ogni
piccola comunità volle dare un nome a queste fiumarelle,
inviando messaggeri alle altre comunità per trovare accordi,
in previsione che tutta la zona in futuro poteva essere di
tutti. Fu così che il “diritto” previsto da San Pietro si
concretizzò. Gli uomini più lungimiranti e di esperienza di
ogni comunità si riunirono e decisero di visionare dall’alto
tutte le vallate per individuare le fiumarelle a cui valeva
la pena di assegnare un nome. Fu così che iniziarono un
lungo giro sulle creste delle montagnole, non osando
avvicinarsi alla loro base per paura di essere travolti e
portati via da quell’acqua torbida che diventava sempre più
furibonda mentre scendeva verso la Nunziata. E fu proprio
dalla collina sopra la Nunziata che gli uomini iniziarono il
loro giro individuando un punto d’osservazione che dominava
gran parte delle vallate. Quella zona fu chiamata “Punta
d’Argento”. E, quasi per istinto primordiale, visionarono il
tutto proprio come aveva fatto San Pietro, usando lo stesso
metodo, partendo da valle, sempre a dritta a mano girando,
non trascurando, da Esseri saggi, avveduti, e lungimiranti
quali erano, di dare nome anche alle montagnole che via via
avevano attraversato. E così la fiumara Loco ebbe per
affluenti: Filesi, Marundrìa, Quarta, Cirasìa, Ndilarè I°,
Mara Franca, Ndilarè II°, e tanti altri piccoli rigagnoli.
Risalendo da Caruccia (o Carcaredha), Spartà I° e II°,
Fialamurda, Cannizzaro, e Crucitti. Questi si riversavano
nella fiumara grande dove giungevano le acque delle altre
che nomineremo in seguito. La fiumara di Racale prendeva
inizio dalla cima della località Martino raccogliendo verso
il basso le acque di Pirarella o Piraredha, prima di
congiungersi con San Pietro alla curva dì “Mancusi”, dopo
essersi allargata in contrada Oliveto (o livitu) appena
sotto il Mulino. Ma lì già si “buzzarriavunu” col San Pietro
che discendeva dalla località “Pruppo”, raccogliendo alla
sua destra le acque di “Marrano”, “Nucarella” (Nucaredha) in
località Branchino, e verso “u Livìtu” si scornacchiava con
le acque di Racale. Poi memori del primordiale accordo
dilagavano a valle invadendo tutto “Pampogna”, fino
all’incontro col Jovane che, rinforzato da “Maranina”, si
avviava veloce all’appuntamento verso il Casaluccio basso,
dove tutti e tre univano le forze gonfiandosi e allargandosi
a dismisura, lambendo la base di Fossatello, con
l’intenzione di sfondare al Serro, aprendo una breccia verso
Dadora baipassando lo stretto di Montebello dove prevedevano
“ntrubbuliamenti” con le acque di quelle contrade. Il
Calamace era abbastanza grande, con i suoi affluenti Galimi,
Sauccio, Mantina e Pizzurro, ma scendeva timoroso per via
dell’incontro col Signore, che, benchè piccolo era sempre il
Signore che raccoglieva Marcelluzzo, Schiccio e con
Scarpazza si presentava “abbascio “ Rovere unendosi al
Calamace, che, nonostante le sue potenzialità, aveva sempre
riverenza. Gli uomini avevano finito il loro compito, molto
faticoso a causa della pioggia e del terreno pesante,
decidendo di trovare quiete e rifugio proprio al Serro,
località che presentava tutte le caratteristiche per essere
un punto strategico di osservazione per il futuro. Ma in
quel momento l’osservazione di quanto vedevano metteva
paura. Quella montagna d’acqua che scendeva di fronte
sembrava avere tutta l’intenzione di spazzare via quel
piccolo promontorio creato dalle mani del Padreterno. E
proprio al Padreterno rivolsero i loro pensieri, pregandolo
di preservarli, con la promessa, per loro e per i lori
futuri discendenti, che avrebbero fatto di tutto per rendere
quelle vallate e quelle montagnole degne del suo lavoro di
Creatore. Il Padreterno, sensibile, dimostrando una umanità
fuori dal comune, liberò il Calamace dalle sue remore di
riverenza, lo alleò con Se Stesso formando una forza d’urto
capace di frenare la furia del trio Jovane-SanPietro-Racale
e relative combriccole, “rifattendolo” verso Spartà,
salvaguardando il Serro e più a valle, con l’aiuto del
Pioppo e di Virgo, incanalarlo con il Loco verso le “timpe”
della Nunziata e poi verso lo stretto, a briglia sciolta
verso il mare.
Quanto
scritto finora rappresenta a grandi linee quello che può
essere successo ai tempi dei tempi, come si dice da noi,
quando Fossato non era ancora un unico centro assimilato e
consono, pur nelle sue diverse borgate. Quello che avvenne
nel corso dei millenni e dei secoli è un altro capitolo che
possiamo affrontare in un altro momento, ovviamente sempre
riferito alle nostre Fiumare. A loro, comunque, bisogna dare
atto che, nonostante i loro difetti, le loro turbolenze,
hanno dato un grande contributo per l’edificazione geofisica
ed economica del nostro paese e la crescita dello stesso,
non dimenticando che fino a circa mezzo secolo fa si sono
sempre mantenute “pulite” da sole. Dopo……dopo il discorso è
cambiato. Lo riprenderemo un’altra volta.
Un grande
saluto a chi legge e a chi ascolta.
Francesco
Pellicanò.
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