VOTA CANNOLU
Ricordate la famosa scena del film con
TOTO’ protagonista ? Ricordate che nella trama del film il
personaggio interpretato da Toto’ decise di candidarsi alle
elezioni per Sindaco e preparava lo slogan politico per
convincere gli elettori ? Vota Antonio… Vota Antonio…. Vota
Antonio! Questo era lo slogan che il protagonista ripeteva
spesso.
Vota Cannolo non ha niente a che fare
con le elezioni. Cannolo non è un personaggio politico, non
va in cerca di voti, non è candidato alle elezioni.
Cannolo è………..
Leggete, leggete…..alla fine vi farete
una bella risata. Le risate fanno bene alla salute, servono
per stemperare un momento di tensione, per alleviare lo
stress di una dura giornata lavorativa, per stare un po’ più
allegri in famiglia. Se qualche risata sorgerà spontanea
vuol dire che questo racconto semiserio avrà raggiunto il
suo scopo.
Se avete letto “I camii da frutta”,
tra le pagine di Francesco, ricorderete che un tempo la
frutta di Fossato era così abbondante da soddisfare le
necessità delle numerose famiglie fussatote e ne avanzava
per l’esportazione verso la città di Reggio Calabria. I
nostri genitori, i nostri nonni, quando stabilivano, di
concerto con altri gruppi di paesani di andare in città,
dalla sera prima preparavano il “carrico”. Riempivano i
cofini con le più pregiate varietà di frutta del nostro
paese, soprattutto pira lisciandruni, ogni tanto in
mezzo alle pere nascondevano qualche pezza di caso,
avvolta con carta e sirbietta per non far sentire
neanche l’odore quando passavano u ponti da gabbella,
altrimenti i gabbelloti facevano pagare il dazio.
Verso la mezzanotte tiravano fuori dai
box il mezzo di trasporto di famiglia: lo scecco,
oppure il mulo. Mbardavano e caricavano i pesanti
cofini, legando con cura le prisagghie con la
doppia streva, necessaria in quanto per andare a
Reggio, per la via breve, attraverso le montagne si dovevano
affrontare nchianàti e scindùti. Molto ripida era
quella di Musijeti che portava, alla fine, in uno dei
punti più stretti del torrente Valanidi, dove bisognava
attraversare per passare dall’altra bbanda. Il greto
del torrente era pieno di pietre scivolose o appuntite e in
alcuni tratti anche fangoso. Durante uno dei tanti viaggi
successe che uno scecco della filerata dei
fussatoti, mentre transitava in quel punto critico,
sciampricò sulle pietre e finì nella zona fangosa, con
il rischio di sprofondare. Meno male che a nessuno venne in
mente di scaricarlo, perché i cofini
aumentavano la superficie d’appoggio ed evitavano lo
sprofondamento.
Intanto si studiava il modo per trarre
d’impaccio la povera bestia, carrico compreso, per
poter proseguire il viaggio. Stramenti si erano
radunati altri gruppi di cristiani e scecchi,
provenienti da paesi vicini, che transitavano di lì per lo
stesso motivo. Lo spirito di solidarietà, innato tra le
nostre genti, ebbe il sopravvento sull’egoismo di proseguire
il viaggio ed arrivare prima ai mercati per fare i migliori
affari della mattinata.
Ognuno esprimeva la propria opinione e
dava il proprio consiglio, tutti consapevoli, però, che non
si poteva usare il classico metodo del cardone spinoso
sotto la coda, per fare nnazzare lo scecco e
farlo uscire da solo da quella incresciosa posizione, perché
la bestia, cadendo, aveva piegato le zampe anteriori,
inginocchiandosi, per cui non poteva fare forza per
sollevarsi da sola.
Una delle persone presenti che era
stato all’estero ed era anche andato al cinema, ricordava di
aver visto, in un filmo, tirare dal fondo del mare le
barche affondate, con dei palloni pieni d’aria. “Vediamo,
disse, se possiamo fare così anche con l’asino”.
“Scecco, gli disse il suo
capofila, scecco, cchiù scecco dello scecco
mpantanato, dove li prendiamo i palloni in questo posto,
semmai dobbiamo riempire d’aria la pancia dell’animale,
sperando di sollevarlo abbastanza da passargli sotto i
paricchiali e tirarlo fuori a forza di braccia, oppure
lo leghiamo al mulo di compare Carmelo, che è molto forte e
se lo carrìa fuori in un minuto”.
L’idea convinse tutti i presenti, ma
ancora non capivano come fare entrare l’ aria nella pancia
dell’asino. Dalla bocca e dalle naschie non era
possibile perché non avevano attrezzi adeguati e comunque
facevano l’aria ritornava fuori. Rimaneva l’opzione
posteriore. Non si persero d’animo, tagliarono una canna
da un vicino canneto, e lavorandola con l’opinèl
affilato e con un crocco di ferro da sei fecero una
specie di tubo che delicatamente posizionarono sotto la coda
dell’asino, in quel posto dove non batte mai il sole, come
si suol dire, proprio lì da dove vengono espulse le
eccedenze alimentari dopo la digestione.
Certamente il gruppo dei fussatoti
cominciò a soffiare per prima. Polmoni pieni e soffiata,
fino alla stanchezza, poi dito nel tubo per non fare uscire
l’aria e sotto un altro. L’operazione andò avanti per un bel
po’, lo scecco, per quanto scecco, sembrava
aver capito che lo stavano aiutando e non fece scrèpiti
per peggiorare la situazione. Agli uomini sembrava che piano
piano la bestia si staccava dal fango. L’idea del cannolo,
tubo di canna, non era sbagliata e sembrava funzionare, solo
che i fussatoti non avevano più fiato. Allora il capofila
dell’altro gruppo, sempre mosso dallo spirito di
solidarietà, offrì il loro aiuto, anche nel soffiare.
“Jamu, muvimundi figghjoli, a cosa
sta funzionando, nda nnenti ndi sbrijamu e putimu cuntinuari
u viaggiu. Sulamenti, cari amici fussatoti, ndaviti aviri a
buntà, non è pirchì ndi nnasijamu, non vi vulimu ffendiri,
ma, pì na questioni d’iggèni, nui, nui ndò connolu
shjussihjamu i ll’atra parti, forza Giuvanni ncumincia tu,
ma prima vota u cannolu”…………..
…….e soffiando soffiando
l’asino si sollevò, fu tirato fuori da quelle finte sabbie
mobili e così continuarono il viaggio, contenti gli uni e
stracontenti gli altri………..
Se qualcuno già conosceva questa
storiella, faccia finta di niente, oppure, sorridendo la
racconti ai figli o ai nipotini, e, se rideranno anche loro
vuol dire che hanno capito tutto e noi, come dicevo prima,
abbiamo raggiunto il nostro scopo di portare un po’
d’allegria nelle vostre famiglie.
Se riscontrate errori non ci fate
caso, sono fatti apposta.
Vi saluti cari paesani.
Francesco P.
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