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ONINANNA
Parte
I
La piccola abitazione era stata
costruita a mezza collina, non troppo in alto, per non
essere lontana dal centro, ma neanche in basso, per non
essere trascinata via dalla corrente impetuosa della
fiumara, quando le piogge invernali scendevano incontrollate
dalla montagna verso la marina travolgendo ogni cosa che
incontravano sul loro cammino, allagando tutta la vallata.
La
costruzione sembrava la casetta delle fate, tanto era
graziosa a vedersi dall’esterno, così come era all’interno,
pulita, semplice, ordinata. La coppia che vi abitava era
venuta da un paese lontano di cui nessuno conosceva il nome.
Si erano ben inseriti nel nuovo ambiente e tutti impararono
a conoscerli per la loro semplicità, bontà d’animo, e,
soprattutto, per la loro spensieratezza. Vivevano alla
giornata e non mancavano di nulla, e se qualche volta
incontravano delle difficoltà non si lasciavano turbare. La
loro vita era sempre gioiosa. In quella casetta non c’erano
grammofoni, ma si sentiva sempre cantare. Una voce, due
voci, toni diversi, ma melodiosi e intonati tra di loro. La
loro casetta era diventata un punto di riferimento per tutti
gli abitanti del paese. La casetta delle persone felici,
così veniva chiamata dai paesani e tutti si sentivano
coinvolti dai canti che provenivano da quel luogo. Quei
canti servivano anche a loro. Ascoltandoli, dimenticavano
per un momento i loro problemi, e per quel momento anche i
loro cuori si riempivano di gioia. Il suono dei loro
semplici strumenti si propagava per tutta la vallata quando
seduti all’ombra degli alberi del loro giardino fiorito
intonavano le loro canzoni. L’organetto che l’uomo
suonava a meraviglia scintillava, riflettendo bagliori di
madreperla, quando qualche raggio di sole si intrufolava
attraverso i rami rivestiti di fogliame e fiori profumati e
la sua luce veniva riflessa dai tasti che danzavano al
veloce movimento delle dita. Il mantice, di colore rosso
porpora, sembrava una grande bocca che si apriva e si
chiudeva distribuendo sorrisi. Il tamburello, suonato
dalla donna, scandiva il ritmo della musica. Le
ciancianelle e i nastrini colorati del tamburello
sembravano danzare accompagnati dai movimenti della donna,
le cui mani sfioravano appena la pelle tesa dello strumento.
La musica faceva da sottofondo alle loro canzoni
spensierate, alle loro voci intonate. Riuscivano a mettere
in musica qualsiasi antica poesia o inventavano stornelli,
intervallandone le quartine con un ritornello che in paese
rimase famoso. Diceva così: Oninanna, oninannanedhu,
oninannannà.
Fu, sentendo
questo ritornello, che le persone del paese riuscirono a
dare dei nomi alla coppia. La donna fu chiamata Nanna
e l’uomo fu chiamato Nannanedhu. La coppia
non se la prese a male per questi nomi, anzi gradì che la
gente del paese si interessava a loro. Questa innata
passione per la musica e il canto, ma soprattutto la
simpatia che ispiravano, tornò loro utile nei periodi di
scarso lavoro e li aiutò a risolvere i problemi quotidiani
che ogni giovane coppia deve affrontare quando decide di
mettere su famiglia. La gente li invitava spesso nelle feste
di famiglia, in occasione di fidanzamenti, di matrimoni o di
ricorrenze varie e loro allietavano le serate con la loro
musica e le loro canzoni, facendo ridere di gioia ogni
qualvolta intonavano i loro ritornelli.
Naturalmente
le famiglie che li invitavano non rimanevano indietro.
Al momento dei saluti qualcuno allungava la
mano chiusa nel taschino del gilè di Nannanedhu
lasciando dentro qualcosa. E quel qualcosa era di
grande aiuto nell’economia della coppia, anche perché le
chiamate cominciarono ad essere più frequenti e
certamente loro non si tiravano indietro. La vita divenne
più tranquilla, non avvertivano più il problema della
mancanza di lavoro, anzi fecero in modo che la loro passione
diventasse un lavoro, mai tralasciando la semplicità, la
spensieratezza e la simpatia. Erano veramente felici di
avere accanto persone che li apprezzavano e rispettavano, ma
erano ancora più felici dentro i loro cuori quando decisero
che era giunto il momento di far crescere la famiglia. Il
tempo passava e tutti si accorsero che i lineamenti di
Nanna cambiavano, assumendo pian piano le
fattezze della donna in attesa. Ma non smisero di allietare
i paesani se non proprio nelle vicinanze dei giorni della
nascita del loro primo figlio che chiamarono Oninanna,
proprio come iniziavano i ritornelli delle loro canzoni,
pensando anche che i nuovi amici del paese non avrebbero
avuto difficoltà a ricordarlo. Il tempo continuava a passare
e come per ogni buona famiglia del paese il Padreterno ci
mise del suo per non lasciare da solo il piccolo
Oninanna, che intanto cresceva e aveva bisogno di un
fratellino come tutti i bambini di questo mondo. I genitori,
anche questa volta furono coerenti, e lo chiamarono
Oninannanedhu, pensando in cuor loro che i nomi dei
lori figli venivano ripetuti ad ogni ritornello delle loro
canzoni. Strada facendo pensavano che due erano sufficienti
per avere una discendenza, ma in fondo ai loro cuori
pensavano anche ad una femminuccia, così la famiglia sarebbe
stata più completa. E la femminuccia arrivò puntuale con lo
stesso intervallo di tempo dei due fratellini. Due anni. Due
anni infatti si passavano i maggiori. Non fu
difficile trovare un nome per la piccola. E furono proprio i
paesani a suggerirlo, anche perché nelle varianti dei
ritornelli che la coppia utilizzava, questo nome si sentiva
e sembrava inventato apposta per chiudere in bellezza le
loro canzoni. E così la femminuccia fu chiamata
Oninannannà.
La famiglia
così fu completa. I nomi dei tre figlioli richiamavano i
nomi dei genitori. Nel loro lontano sconosciuto paese
d’origine il prefisso Oni…..stava a
significare essere figlio di qualcuno, così Oninanna
voleva dire essere figlio di Nanna,
Oninannanedhu voleva dire essere figlio di
Nannanedhu e Oninannannà, al
femminile, portava, mescolati, i nomi della mamma e del
papà.
Nessuno del
paese andò ad indagare sul significato di questi nomi, li
accettò così, anche perché nei “refrain” delle canzoni
suonavano bene: Oninanna, Oninannanedhu, Oninannannà.
Le canzoni furono numerose,
orecchiabili, facili da imparare ed ognuno le imparò, in
modo particolare le mamme.
La famiglia
di Nanna, Nannanedhu ed i loro figli
Oninanna, Oninannanedhu e Oninannannà, visse in quel
paese per moltissimi anni e fu un modello per tutti, così
come le loro canzoni.
Fu
linguaggio comune per tutti quegli anni ed anche ora usare
frasi come questa: viniti ccà bellu meu chi ora vi cantu
u nannanedhu, espressione usata dalla mamme quando
avvertivano un po’ di agitazione e di disagio nei loro
piccoli, soprattutto la sera, al momento di andare a letto.
U nannanedhu serviva a calmarli, a farli addormentare
presto, quasi fosse una ninna nanna. Si usava anche in senso
ironico, quando non si voleva dare confidenza a qualcuno:
Spittàti, spittàti, spittàti quantu vuliti tantu non vu
cantu u nannanedhu.
……… e così via…….noi siamo qua, i
nostri genitori, i nostri nonni, i nostri bisnonni e chissà
fino a quale generazione prima di noi, tutti sappiamo di
quella fantastica famiglia e lo possiamo raccontare ai
nostri figli, ai nostri nipoti, ma nessuno ha mai saputo, né
saprà mai da dove venivano, né dove andavano.
Certamente la loro storia, durante la
permanenza in quel piccolo paese, ebbe modo di intrecciarsi
con l’esperienza e la vita di altri personaggi anche loro
famosi. E’ un’altra storia, che vi racconterò in qualche
altra occasione. Per ora possiamo prendere per buona anche
l’illusione che qualche discendente di quei personaggi abbia
potuto contribuire, con grande impegno e passione, alla
riuscita del I° Raduno dei Fossatesi nel mondo.
Ringraziamoli.
Francesco P.
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