"FUSSATOTI RITORNATE VIRTUALMENTE ALLE VOSTRE ORIGINI"

 

 

                                                                         

 ONINANNA 

                                Parte  II ed ultima parte

 

Il piccolo paese dove abitava la famiglia di Nanna e Nannanedhu, era una delle tante borgate che, con altre borgate e frazioni formavano un Feudo abbastanza consistente, su cui governava un Principe. Il feudo gli era stato donato dal Re in persona, in segno di riconoscimento per la fedeltà dimostrata in tanti anni e per l’aiuto ricevuto in tante guerre ormai lontane. Il Principe viveva con la sua famiglia e la sua corte nel suo palazzo principesco, ma non aveva nei confronti dei sudditi atteggiamenti di superiorità, tanta era la sua nobiltà d’origine e la sua nobiltà d’animo. Amministrava con grande saggezza, con il principio che i suoi sudditi dovevano essere tutti uguali, avere tutti la possibilità di fare una vita dignitosa, di prosperare, riconoscendo a tutti il diritto di essere felici di vivere nel suo territorio, con onestà, rispetto ed aiuto reciproco, intervenendo, all’occorrenza, con la sua autorità a ripristinare la democrazia e l’uguaglianza, anche mettendoci del suo in caso di bisogno, elargendo a piene mani e sempre col sorriso e la comprensione. Il popolo lo rispettava ed era orgoglioso del suo Principe, venuto da terre lontane e sconosciute. Egli non aveva comportamenti vessatori nel confronti del popolo, non imponeva tasse, non opprimeva. Il suo palazzo era aperto a tutti ed egli stesso non disdegnava di recarsi nelle case dei suoi amministrati.. Viveva per loro, con loro ed in mezzo a loro. E la gente apprezzava, e ognuno dava quel che poteva dei frutti del suo lavoro, senza costrizione, così, spontaneamente e la casa del Principe non mancava di nulla. La sua famiglia viveva in armonia con la popolazione e la popolazione era disposta a tutto per difendere il suo Principe e la sua famiglia. Egli  voleva conoscere tutte le famiglie di tutte le borgate, anche quelle che abitavano nelle frazioni più isolate. Gran parte del suo tempo lo dedicava alla conoscenza della sua gente.

Fu così che venne anche a conoscenza della famiglia di Nanna e Nannanedhu, della loro vita, della loro passione per la musica e il bel canto, ma soprattutto della loro spensieratezza, della loro semplicità e della loro perfetta integrazione con gli abitanti della borgata. E notò, da uomo saggio e lungimirante, che erano di esempio per tutti e che tutta la borgata viveva felice, nonostante le fatiche del lavoro quotidiano. Prese mentalmente nota di tutto, meditò a lungo nella lunghe notti d’inverno e decise che tutti gli abitanti di tutte la frazioni del suo feudo dovevano prendere esempio dagli abitanti di quella borgata e vivere felici e spensierati come loro. Promulgò una legge speciale per tutto il suo territorio, mettendo al bando tutto ciò che poteva recare turbamento alla semplice, spensierata  ma, allo stesso tempo proficua vita dei suoi cittadini. In particolare mise al bando Maleducazione, Maldicenza, Malversazione, Malizia, Malumore e tanti altri. Pensava, il Principe, che senza di questi la vita del su feudo sarebbe stata veramente unica e si augurava con tutto il cuore di poterla mantenere a lungo, per il bene di tutti. Istituì posti di controllo sulle vie di accesso al feudo, per impedire l’ingresso a quanti erano stati messi al bando. Solo Malumore  riuscì una volta ad intrufolarsi attraverso uno impervio sentiero di montagna, cominciando a seminare Zizzania tra le prime persone che incontrava. Ma ben presto fu individuato e isolato. Il Principe, con un provvedimento d’urgenza, firmò il foglio di via per lui e la sua compagna. Malumore e Zizzania furono accompagnati fino ai più lontani confini del Feudo, con il decreto di espulsione, e furono diffidati dal farvi ritorno.

La calma fu ristabilita, la popolazione riprese a vivere con tranquillità allargando le conoscenze, intrecciando amicizie con gli  abitanti delle altre frazioni. Ma non solo amicizie. Sbocciarono nuovi sentimenti, si intrecciarono nuovi amori, si formarono nuove famiglie, rinsaldando vincoli prima sconosciuti.

Il Principe molto contento delle sue decisioni, anch’Egli felice della felicità del suo popolo, volle festeggiare invitando tutti i sudditi ad una grande e lunga festa, mettendo a disposizione il grande piazzale antistante il suo palazzo principesco, comprese le stanze da basso, utilizzabili per ristoro, per riposo e per tutto ciò di cui il popolo manifestava di avere bisogno. Fu una festa collettiva, durata diversi giorni, e tutti, nessuno escluso ebbe il diritto di parteciparvi. E, come si sa, in un paese dove non c’è Maleducazione, Maldicenza, Malversazione, Malizia e Malumore, con la partecipazione attiva di tutti la festa divenne veramente Festa grande, e fu ripetuta nel tempo e ricordata come la festa di tutto il Feudo principesco. E ci fu un grande lavoro, oltre che divertimento, per i musici di corte, ma soprattutto per la coppia Nanna e Nannanedhu, i quali di fronte alla famiglia del Principe ed a tutta la popolazione diedero il massimo di loro stessi per dare a tutti allegria e spensieratezza. La loro fama così si allargò e con il tempo che passava anche i loro figli furono coinvolti ed inseriti nel gruppo, senza trascurare gli insegnamenti dei lavori del vivere quotidiano.

Il tempo passava anche per il Principe e la sua famiglia e, nonostante la spensieratezza sancita per decreto, il Principe aveva un cruccio che si portava nel cuore. Come tutti i padri di famiglia desiderava ardentemente diventare nonno, ma il figlio, Principe erede al trono, ancora non aveva trovato la persona giusta, anche perché di carattere schivo e riservato non eccedeva nelle uscite. Fu il Principe padre ad incoraggiarlo. Adducendo motivi di età, lo responsabilizzò per il suo futuro invitandolo ad uscire dalla casa principesca, e cominciare a girare per i suoi territori e fare la conoscenza dei suoi amici sudditi, raccomandandogli di considerarli più amici che sudditi, per poter continuare a governare in tutta tranquillità e pace. Il Principino era un po’ restio, ma vinse il suo essere schivo, vinse la sua riservatezza e con i cavalieri più fidati iniziò a girare per il feudo. Anche il Principe padre fece la sua parte, facendo accompagnare i cavalieri da Tirullalleru e Tirullallà, che erano fratello e sorella e facevano parte dei musici di corte oltre che maestri di allegria e spensieratezza. Dovunque andavano ricevevano un’accoglienza degna di loro e loro ricambiavano comportandosi da amici, scendendo da cavallo e fermandosi a trascorrere parecchio del loro tempo seduti all’ombra delle case, parlando, assaporando e gustando quanto veniva loro spontaneamente offerto. E il tempo passava. La vita andava avanti. Le donne si occupavano delle loro faccende in case, non disdegnando di accompagnare i loro uomini nei campi aiutandoli anche nei lavori più pesanti. E quando i raccolti superavano le capacità di trasporto dei loro quadrupedi non ci pensavano due volte a issarsi sulle spalle o in testa il resto del raccolto per portarlo nelle loro case. Le donne si occupavano anche del bucato, del lavaggio delle coperte e di tutto quello che c’era da lavare. Non avevano certo la lavatrice, per cui erano costrette a recarsi al torrente con le ceste in testa, a volte anche molto lontano dal paese. Gli uomini avevano predisposto per loro dei grandi massi molto lisci, situati a semicerchio sul greto del torrente dove l’acqua non scorreva molto veloce e formava una specie di piccolo lago. Ogni donna aveva assegnata la sua pietra, il suo lavatoio. Aveva anche assegnata l’ora e la giornata del suo turno, così che tutte avevano la possibilità di poter usufruire dell’acqua che scorreva e si manteneva sempre limpida. Tutte le donne del paese erano uguali in quel luogo. Tutte  immergevano i loro piedi a valle del semicerchio di pietre e tutte erano a piedi nudi, in qualunque stagione, anche in inverno, quando l’acqua era talmente fredda che le costringeva, ogni tanto, ad uscire e poi, appena finito di lavare, aiutandosi l’una con l’altra, rimettevano in testa quelle ceste, rese pesantissime dai panni bagnati, e si recavano nei loro campi a stendere, e nel frattempo si occupavano di altri lavori.

Donne forti le nostre mamme, le nostre nonne e le mamme e le nonne delle loro nonne.

Ma il tempo inesorabile alla fine presentava il suo conto, che, a volte, era salatissimo. La Vecchiaia, arrivava preceduta dall’Anzianita’, a cui nessuno dava peso, ma quando arrivava la Vecchiaia erano dolori per tutti. Vertebre cervicali consumate, dischi intervertebrali schiacciati, articolazioni attanagliate dall’artrosi, atroci dolori muscolo-scheletrici e chi ha più ne metta. Qualche mamma di famiglia non ce la faceva più ad andare alla fiumara per il bucato e questo sacrificio dovevano sobbarcarselo le figlie più grandi.

Successe così anche in casa di Nanna e Nannanedhu.

Anche per Nanna arrivò l’Anzianità, ambasciatrice della Vecchiaia, e Nanna fu costretta, suo malgrado, ad inviare alla fiumara la figlia Oninannannà, bellissima nella sua crescita, educata all’insegna della semplicità e dell’ubbidienza non si sottrasse a questo nuovo dovere verso la mamma. Anche lei mise la cesta in testa e quando veniva il suo turno si recava alla fiumara, illuminando gli sguardi con la sua bellezza e con la sua semplicità. Il fratello maggiore Oninanna  l’accompagnava per aiutarla quando doveva scendere la cesta, ma soprattutto quando, molto pesante, la doveva rimettere in testa per riportarla a casa. Così avanti, al posto della mamma che non ce la faceva più.

Capitò una volta che il Principino passando di là con il suo seguito, vide quella bellissima fanciulla, e rimase incantato, e volle conoscere il suo nome. Ma lei non rispose, né alzò lo sguardo verso il Principino erede al trono.

Nina, rispose il fratello Oninanna, si chiama Nina.

Ma non guardò il Principino, i suoi occhi si posarono sulla ragazza che gli stava accanto. Fu solo un attimo, ma come una saetta gli sguardi di Oninanna  e  Tirullallà si incrociarono, dicendosi un mondo di cose. Tutti e due, in quell’attimo, capirono quale sarebbe stato il loro destino. Le loro vite legate da quello sguardo. Oninanna  stava per dire qualcosa, ma divenne muto, vedendo il Principino scendere dal suo maestoso cavallo bianco. Lo vide avvicinarsi a Nina, con la spada sguainata, ma con lo sguardo dolce, così come, con movimento dolce allungò la spada rubando a Nina un bel fazzoletto bianco, il più bianco che aveva appena lavato. Poi senza nulla aggiungere risalì sul suo cavallo bianco ed insieme ai suoi compagni si allontanò. Solo Tirullalla’ girò il suo volto per dare un altro sguardo pieno di significato a Oninanna, il fratello di Nina, che, nonostante la sua apparente tranquillità, aveva il cuore in grande tumulto.

Anche il cuore del Principino era in grande tumulto, così come i suoi pensieri, ormai presi dalla bellezza di quella ragazza.

Raccontò tutto al Principe padre, il quale, in cuor suo, tirò un profondo sospiro di sollievo. La sua esperienza gli diceva che avrebbe coronato il suo sogno di diventare nonno. Il Principino diede incarico ai suoi musici di comporre una bella canzone degna della bellezza di Nina, e nello stesso tempo voleva rispettare gli usi, i costumi e le tradizioni del popolo, che ora sentiva più suo. Così mandò i suoi migliori “stornellatori”, per la serenata di rito, e tra essi c’era anche Tirullalleru e Tirullallà. La canzone faceva tremare i cuori. Le voci dei cantori riempivano tutta la vallata, con echi che si propagavano nelle vallate vicine. Sembrava che tutto il feudo cantasse la bella Calabrisella, fiuri d’amuri.

Le voci e i cuori dei cantori erano tutti per il giovane Principe erede al trono, ma la voce ed il cuore di Tirullalla’  era per Oninanna, suo nuovo Principe, Principe del suo cuore.

 

Come vedete, cari amici Fussatoti, non ho aspettato tanto a raccontarvi il seguito di Oninanna, spero tanto che via sia piaciuta.

Vi saluto come sempre.

Francesco P.