UNA STORIA FANTASTICA, SENZA PRETESE, MA VEROSIMILE

 

Cap. 8

Lo sviluppo di Fossato

 

Con l’avvento dei Piromallo Fossato ebbe uno sviluppo demografico repentino. L’assetto urbanistico originario costituito dai centri abitati di: Mulino, Gurgori e San Luca, si sviluppò verso valle alle pendici della montagna fino al greto del torrente San Pietro. In origine l’alveo di detto torrente si estendeva in larghezza su tutto il territorio di Pampogna.

Si pensa che la costruzione della Torre, la Casina estiva dei Baroni ebbe inizio nei primissimi anni della loro presenza sul territorio. Si è portati a pensare che i lavori di costruzione della stessa coincidessero con l’elevazione a parrocchia della chiesa di Fossato, avvenuta nel 1772 con editto dell’Arcivescovo Mons. Capobianco.

                                                   

                   "A Turri" Palazzo Piromallo                                                             Il Quadro della Madonna di Buonconsiglio

La chiesa fu dedicata alla Madonna del Buon Consiglio, culto e tradizione importati dagli stessi Piromallo. L’effige della Madonna, regalo dei Baroni alla Comunità Fossatese, di chiara scuola napoletana, ma di autore ignoto, ne rappresentava la tradizione del paese di origine degli stessi. Infatti la venerazione e la devozione alla Madonna del Buon Consiglio era ristretta a due popolazioni del centro Italia: una nel Lazio, a Genazzano ed un’altra nel Molise, terra di origine dei Piromallo. Come si è detto Pampogna era allora nell’alveo del torrente San Pietro, e la costruzione della Torre nella località dove ancora adesso si trova, soggetta alle piene del torrente, doveva in ogni caso essere protetta. Non è fantasia pensare che i Piromallo cominciarono la costruzione dei muraglioni a contenimento della fiumara. Molto probabilmente si cominciò a regimentare le acque torrentizie partendo dalla località Branchino e verso valle in località Palamara fu costruito il primo muro a protezione di Pampogna. Per tutta la sua lunghezza fino alla forbice del passo di Pudhici con pietre rosse estratte dalle cave di Pruppo e di Capani, con una larghezza media di m. 1,20, abbastanza robusto a sopportare la pressione delle acque. Con questa primaria difesa si deviò in gran parte il corso del torrente, che, proprio al Passo si incontrava contrastando la forza devastatrice del Rahale. Le acque, per una legge fisica di opposte forze e di uguale potenza, furono deviate verso la collina dei Mancusi, dove l’alveo assumeva un corso rettilineo che salvaguardava la riva destra. Ancora fino a qualche anno addietro in località Crucitti  erano visibili le alte “Timpe” create dall’erosione delle acque. Col passare del tempo, si dice, i muraglioni furono fatti proseguire fino alla Forbice della Jalamurda, costruiti su un vecchio muro di contenimento di mattoni rossi (origine romana?) che fino a qualche decennio fa si potevano vedere al di sotto della cunetta di irrigazione costruita sul fianco del muraglione. Si torna sempre alla domanda senza risposta: chi costruì quelle mura? ed in quale epoca furono edificate? Pampogna poteva essere il piano dell’accampamento di una guarnigione militare? se così fosse, la leggenda di Pomponio, Capo di una Centuria Romana, non sarebbe più tale! Ma i Romani quali interessi logistici potevano avere alla valle di Fossato? Non è che da quelle parti, magari, ci fosse la sede dei vettovagliamenti dell’esercito romano che da Leucopetra si imbarcava per la Sicilia e per l’Africa. Si dice che al tempo delle guerre Puniche le popolazioni locali erano alleate di Annibale, sconfitto il quale, le stesse furono conquistate dai Romani ed assoggettate all’Impero nascente. fantastiche supposizioni che, potrebbero avere però qualcosa di veritiero. Torniamo a Fossato. I Piromallo importarono la coltivazione di piante pregiate quali: la vite ed il gelso, e furono impiantate intensivamente gli uliveti. Nel catasto dei censi onciari del 1744 (Domenico Sclapari) rivisto e ampliato da F. Pellicanò (cap. precedente) fa una sistematica ricerca e ricostruzione delle famiglie del territorio Montebellese. Stranamente, però nel libro, oggetto della sua ricerca sono resi noti i nomi di famiglie borghesi solo di Montebello e Fossato, nessuna accenno a gente residente sulla riviera (Saline). Da questo libro si rileva che:

1)      il 60% circa delle proprietà erano della chiesa e del clero;

2)      il 35% del latifondo del Barone;

3)      il 5% appena di proprietà di alcune famiglie di rango e di qualche massaro.

Stando alla ricerca dello Sclapari in agro di Fossato si contavano una trentina di famiglie, qualche centinaio d’anime in tutto con qualche centinaio di capi di bestiame e piccole greggi di ovini. Ma si parla di estese proprietà di gelseti e filande, di vigne su tutto il territorio fossatese e dintorni. Si parla di un’attività frenetica dell’industria serica. Ma un centinaio di persone potevano mantenere attiva la possente macchina produttiva di cotante officine? Appena trent’anni dopo del primo catasto conciario, la chiesa fu elevata a parrocchia e, con il potere dei preti e chierici, numerosissimi all’epoca, sarebbe stato facile avere una parrocchia propria se le anime da curare non fossero svariate centinaia? Lo Sclapari stesso giunge alla conclusione che tante, diverse famiglie montebellesi e tantissime fossatesi non si autodenunciarono per non dover pagare le tasse imposte dal potere borbonico sul prodotto agricolo e sulle attività artigiane. Quindi i fossatesi non si dichiararono, resistenti per non pagare le tasse?

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