UNA STORIA FANTASTICA, SENZA PRETESE, MA VEROSIMILE

 

Cap. 9

Fossato nel periodo Borbonico

Con l’Editto di Napoleone Bonaparte su tutto il territorio occupato dalle sue truppe furono istituiti i Comuni che sostituirono le antiche università. Fossato fu elevato a Comune e assunse il nome di Fossato di Calabria Ultra Prima, infatti la Calabria era stata suddivisa in tre grosse province, il territorio dell’attuale provincia di Reggio Calabria prese il nome appunto di Calabria Ulteriore. Da alcuni atti di matrimonio trovati presso l’Archivio di Stato presso il comune di Fossato era Sindaco un certo Calojero, di chiara origine spagnola, e da una ricerca fatta da chi scrive sulle origini della propria famiglia, gli abitanti ed i residenti erano circa 800/900 agli inizi del 1800. Le attività principali erano l’agricoltura e la pastorizia. Un grosso sviluppo assunse l’industria serica, le filande erano il centro dell’attività artigianale di tantissimi fissatesi. Il commercio della seta, peraltro di ottima qualità, con l’Inghilterra raggiunse il culmine in quegli anni. Si racconta che i bozzoli del baco da seta venissero imbarcati nel porto di Messina con destinazione il Regno Inglese. Da ricerche effettuate si rileva che quasi l’80% della popolazione femminile era dedita alla coltivazione del baco da seta, e che altrettanta popolazione maschile era impegnata nella coltivazione delle campagne. Si presume che almeno il 50% del territorio coltivabile era rappresentato da estese piantagioni di gelsi che fornivano la fronda (foglie), l’unico alimento del baco da seta. Nell’agro fossatese si sviluppò anche la coltivazione dell’ulivo. Questa nuova pianta sostituì gli estesi vigneti presenti sul territorio. Furono intraprese nuove attività quali: botteghe di artigiani del legno, del ferro, del pellame, muratori, maniscalchi. Curiosamente dette attività erano prerogativa di alcune famiglie specializzate, e venivano tramandate di generazione in generazione. Così i membri della stessa famiglia avrebbero sempre svolto la stessa attività con maggiore specializzazione e professionalità. Purtroppo ancora resisteva il latifondo. Solo pochissime famiglie avevano la proprietà, accentuando così la dipendenza di interi nuclei familiari, sfruttati nella manodopera con la sola certezza della sopravvivenza. Con il passare del tempo, alcune persone, di estrazione popolare, si emanciparono, riuscirono cioè a svincolarsi dalla dipendenza quasi obbligata dai borghesi latifondisti. Lavorando in conto proprio furono in grado di riscattare parte dei terreni agricoli dalla proprietà ecclesiastica, ebbero le loro greggi e le loro mandrie, acquisirono una totale indipendenza economica e sociale. La località Pampogna fu totalmente destinata agli orti, piccoli appezzamenti di terreno sfruttati da quasi tutte le famiglie per la produzione orticola, probabilmente già da quegli anni si distinse la qualità eccelsa del famoso cavolo fussatotu, una pianta messa a dimora già nella stagione estiva. Già ai primi di ottobre ed ai primi freddi si cucinavano le larghe foglie tagliate con fagioli e patate fino a quasi tutto gennaio. La pianta allora smetteva di crescere e produceva i teneri broccoli, ottimo secondo piatto, ormai del tutto scomparso dalle tavole fossatesi. I “brocculi ffucati, sbollentati in padella con olio di oliva, qualche spicchio d’agli sminuzzato ed una veloce spruzzata d’aceto e buon appetito. Ai primi tepori di marzo si piantavano le patate, dico bene si piantavano, da noi non è mai stato detto <seminiamo le patate, ma piantiamo le patate>. Si zappava la terra e la si concimava con il letame prodotto dagli animali domestici. Poi si divideva il terreno (di solito una bella “lenza”) con dei solchi periferici di almeno 40 cm. di spessore “i mastraguli” che divedano il terreno in due appezzamenti di ugual misura chiamati rasuli. Ogni rasula veniva suddivisa in tante “casedhi” ognuna delle quali formata da non più di quattro solchi (surca) con l’apertura alternata in modo che l’acqua di irrigazione passasse dall’uno all’altro senza intervento di zappa. Le patate venivano prima tagliate a spicchi a forma irregolare, e ciascun spicchio di essa aveva l’occhiu, cioè il germoglio della pianta già abbozzato. Venivano poi interrati nei solchi con l’ausilio du chiantaturi, un attrezzo di legno (il migliore era quello di rangiara (arancio), sbozzato, lisciato  incurvato da una parte, dello spessore di circa 5 cm. La parte alta e più piccola dell’incurvatura rappresentava u manicu, dall’altra parte un pò più lunga e con la fine appuntita serviva per fare, spingendolo nel terreno appena zappato, delle buche di circa 5/6 cm. di profondità dentro le quali veniva interrato u spicchiu da patata, prestando attenzione che il germoglio puntasse verso l’alto. Un vecchio consiglio suggeriva la piantagione delle patate a luna scura, cioè nel periodo di mancanza della luce lunare. Ogni solco ospitava tre file di patate, due sui fianchi ed una in alto, appunto ‘nda crista du surcu. All’inizio di ogni casedha si prevedeva  un’entrata per l’acqua di irrigazione chiamata tagghjatina, attraverso la quale l’acqua defluiva con regolarità all’interno della stessa bagnando ed impregnando omogeneamente il terreno. La stagione du ‘mbivirari, (innaffiamento degli orti) cominciava il secondo lunedi del mese di maggio e terminava la seconda domenica del mese di settembre. A proposito dell’acqua di irrigazione, nei primi anni del 1800 non era regimentata e chi poteva se ne appropriava specie quella di grossa portata della sorgente in località Pruppu. Con il passare degli anni sorsero dei litigi e contenziosi piuttosto seri. Qualche famiglia (Sgro – Gullì), proprietaria dei terreni attigui la sorgente aveva approfittato  per appropriarsene pretendendo esosi pagamenti da parte di coloro che la volevano utilizzare. Il fatto assunse allora un grande eco che giunse a Reggio Calabria, sede del Consiglio d’Intendenza del Regno delle due Sicilie. Da parte dei fussatoti con l’appoggio dell’allora Sindaco Pietro Mazzacuva, fu richiesto l’intervento di tecnici per un sopralluogo. In data 29 luglio 1844 furono mandati allora due “Agrimensori”: tali Gaetano Marra e Giacomo Nobile che stesero una perizia. Alla presenza di una apposita Commissione formata da tale D. Antonio Manti, D. Antonio Spinella e dal Sig. Nicola Mazzacuva agente del Barone Piromallo, costituita appositamente dietro reclamo e denuncia dei fratelli Sgro Sacerdote Paolo e Sgro Dottor Nicola furono effettuate delle misurazioni sulla portata, sull’origine della stessa e fu stabilito che la sorgente era localizzata in terreni demaniali quindi accessibile a tutti. Questo fu lo spunto affinchè a Fossato nascesse il primo Consorzio per l’irrigazione. Chi ha avuto la possibilità a comprato una parte di acqua, ha contribuito alla costruzione delle condotte, (i famosi cundutti) ancora in parte efficienti ed utilizzati dagli ultimi proprietari.

 

 Vai al Capitolo 10