"FUSSATOTI" RITORNATE VIRTUALMENTE ALLE VOSTRE ORIGINI"

 

LA PALESTRA A FOSSATO IONICO

Cari fussatoti compaesani sparsi per l’Italia, per  l’Europa e  per il mondo, chi di voi ricorda che anche nel nostro piccolo e amato paese c’era una palestra ?  Per quelli nati dopo il 1965 non c’è speranza, ma chi negli anni ’60 aveva dai 14 ai 20 anni  qualcosa si può ricordare.

Ad ogni modo una rinfrescatina alla memoria voglio darla io. Chi sono io ?  Ve lo dico subito: mi chiamo Francesco, oppure Franco o, meglio ancora Ciccilledhu, il terzo dei fratelli Pellicanò, in età, tra Ninì e Mimmo che tanto hanno detto e scritto sul sito del nostro Fossato Ionico. Mi pregio, senza timore di smentita, dell’onore di essere stato il primo fussatoto  a Fossato ad usare dei pesi per fare ginnastica, Cultura Fisica o Culturismo come si diceva allora, e vi voglio raccontare il come, il quando e il perché.

Ma andiamo con ordine. Negli anni ’60 andavano di moda i miti dell’antichità, da Ercole a Maciste, passando per Sansone. Uomini o figli degli Dei, dal fisico ultrapossente, da sembrare sculture marmoree, schierati sempre dalla parte dei più deboli. Il cinema dell’epoca li rese ancora più famosi, sfornando continuamente pellicole con episodi di vita di questi personaggi. Noi adolescenti fummo non poco influenzati da questi eroi. Rinunciavamo al panino della ricreazione a scuola per racimolare i soldi per il prezzo del biglietto al cinema “Moderno” di Piazza Duomo, o al Dopolavoro Ferroviario. Attori interpreti di questi miti leggendari erano quasi tutti professionisti del Culturismo, oggi si direbbero palestrati. Gordon Scott, Reg Lewis. Reg Park, Mark Forrest, Steve Reeves...... tanto per citarne alcuni, i mister Universo di quegli anni, gli antenati di Schwarznegger e di Lou Ferrigno. E nell’edicola volante sul Corso Garibaldi si trovava anche la rivista “Ercole”, mensile di Culturismo con corsi  illustrati di ginnastica e pesistica. Quella rivista, comprata rinunciando a qualche panino, mi aiutò a cominciare quel tipo di ginnastica, ma qualcosa mancava. Mancavano gli attrezzi, e per quelli non c’erano panini a cui rinunciare. Ma non mi persi d’animo, una volta deciso a farmi un fisico da Ercole…… tascabile, ma sempre Ercole o Maciste se volete, data la mia altezza di  1 metro e 60 scarsi e di altrettanto scarsi 55 chili, con grande volontà e spirito di sacrificio pensavo di farcela. Riuscii a convincere mio padre a farmi dei pesi di cemento armato. Così impastando cemento e pezzi di ferrovecchio riempimmo la forma, che era un vaglio per il grano…(nu crivu i ranu, insomma), mettendo al centro un bottiglietta di vetro per mantenere il foro, dove, una volta asciutto, si inseriva il  “bilanciere”, un palo di ferro da 8 kg circa. Due  forme da 15 kg circa ciascuna, sembravano due pezze di formaggio col buco in mezzo. Il risultato comunque fu soddisfacente. Inserito “u palu i ferru” bloccato da “cugni di legno fu pronto il primo attrezzo da sollevamento pesi. Felicissimo fui tentato subito di cominciare ma mio padre mi fermò dicendomi:”Statti attentu non mi ti cciunchi, non mi ti cadi dancodhu, chi l’Ortopedicu è luntanu”. Lo tranquillizzai facendogli vedere il giornale e gli esercizi che volevo fare. “Vabbò, mi rispose, ma statti attentu u stessu”. Una stanza da basso faceva al caso mio.  “U bancu du purcedhu” era ottimo come panca per gli esercizi distesi e qualche sedia per quelli da seduto. Perfetto. La palestra era pronta. Mi avvicinai un po’ timoroso a quell’attrezzo che avevo visto per la prima volta in televisione, alle Olimpiadi di Roma nel ’60, con quegli atleti giganteschi con la larga cintura di cuoio ai fianchi per non slombarsi. Finita la prova sbatacchiavano l’attrezzo sulla pedana, incuranti dello stesso, rilassando la tensione dei muscoli che sembravano spezzarsi.

Con la memoria a quei movimenti visti un paio d’anni prima, anch’io afferrai il mio bilanciere per sollevarlo. Uno, due, tre, solleva Ciccio…….”Azzzzo!!!”,  neanche un centimetro, sembrava murato per terra!  Possibile, pensai, che non ho la forza di sollevare 40 kg?  Eppure a quindici anni mi sembrava di essere abbastanza forte. Ma non era così. Sfogliai il giornale degli esercizi e scoprii il mistero. Il riscaldamento! Dovevo fare prima il riscaldamento e poi iniziare con pesi minimi prima di arrivare ai massimi, chiaro no?

 

 

 

 

 

                                     

Tolsi i cunei, sfilai i dischi di cemento e cominciai col palo di ferro. Otto kg non erano molti, così feci tutti gli esercizi illustrati nel giornale. Alla fine, dopo alcune ore, stanco ma soddisfatto misi ogni cosa al suo posto, come insegnava la rivista. Dopo cena andai a letto tranquillo, apparentemente senza problemi. Il problema si presentò la mattina dopo. Non riuscivo al alzarmi dal letto, atroci dolori in tutto il corpo, sembrava che mi fosse passato sopra un rullo compressore. I miei muscoli non abituati a quei nuovi movimenti con il peso, anche se minimo, avevano accumulato tanto acido lattico che ci volle una settimana per smaltirlo. Nel frattempo libri scolastici e rilettura più attenta della rivista, soprattutto le note: attenzione, prima di ogni esercizio con i pesi, prepararsi con gli esercizi a corpo libero. Devo stare più attento, dissi tra me e me, quando ricomincio seguirò alla lettera la guida agli esercizi. Una settimana di riposo senza fare bruschi movimenti , meno male, anche perché “u palu i ferru, (asta del mio bilanciere), serviva nell’orto per fare i buchi per i pali dei fagioli. Passati i dolori muscolari ricominciai un po’ alla volta, alternando il peso al corpo libero. Nel giro di due mesi i primi risultati: forme muscolari più in risalto, addominali più tonici  e duri, spalle e torace più larghi e giro vita più stretto, messi in bell’evidenza da una maglietta aderente che indossavo nelle uscite in piazza.

E, siccome “ il borgo è piccolo e la gente mormora”,  tra i coetanei si sparse la voce che “Ciccilledhu  faciva allenamentu chi pisi”. E i risultati si notavano. Capitò un giorno che, mentre passavo per una stradina stretta (quella traversa di via Torre che dalla casa di mastru Nunziatu du telefunu viene verso piazza Municipio), incrociai un ragazzo più o meno della mia età, da poco tempo venuto dalla Francia. Ancora molto timido, fisicamente snello, ma con delle gambe muscolose di natura, passandomi vicino si fece coraggio e mi chiese se poteva venire a casa mia a vedere gli attrezzi e se gli permettevo di allenarsi con me.

Quel ragazzo si chiamava  e si chiama Antonino Cuzzucoli detto “giardinera” dal soprannome del suo casato. Fu così che iniziò un’amicizia accomunata dalla passione per la ginnastica coi pesi. Col trascorrere del tempo anche il suo fisico si formava. Lavorando intensamente e con metodo, aumentava anche la nostra forza fisica, tanto che  i due dischi di cemento non furono più sufficienti per aumentare la nostra massa muscolare. Ci venne la brillante idea di avvicinare i due dischi legandoli insieme e mettendoli da un lato del  palo di ferro, mentre dall’altra agganciammo una “mola” di pietra; sì, proprio un mola di quelle che servivano per molare i coltelli e le “sciunette”  per il 26 dicembre  giorno di santo Stefano, per fare la festa ai maiali. L’operazione ci riuscì, ma non secondo i nostri calcoli. Il peso complessivo dell’attrezzo di oltre 60 kg, non era ancora alla nostra portata. Togliemmo il palo di ferro da 8 kg e lo sostituimmo con uno di legno, resistente ma non pesante e così, con pochi esercizi alla volta ci adeguammo al nuovo peso, e si notava che anche la nostra massa muscolare  aumentava a vista d’occhio. In quel periodo ritornò al nostro paese un nostro compaesano, per trascorrere un periodo di ferie. Si  chiamava e si chiama ancora Paolo Stellittano, che magari nessuno ricorda chi è se non diciamo che era figlio di Nino Stellittano (detto purtedha), senza recare offesa. Egli era anche cognato di Pepè Federico (don Pepè da posta). In quel di Parigi, dove viveva, anche lui frequentava la palestra, formandosi un fisico possente. Dovendosi trattenere alcune settimane a Fossato, e saputo dei nostri rudimentali attrezzi, per mantenere la forma, ce li chiese in prestito, anzi ci invitò ad allenarci insieme. Accettammo di buon grado, anche per apprendere nuove tecniche di allenamento senza attrezzi. Così trasferimmo la palestra per un po’ di tempo, nel garage di don Pepè, a casa sua, vicino alla Posta vecchia. Paolo ci insegnò, per esempio, che per sviluppare i tricipiti delle braccia bastavano 2 sedie su cui appoggiare i calcagni da una parte e con le mani aperte appoggiate sull’altra dovevano abbassarci e  tirarci su proprio con la forza sviluppata dai tricipiti. Un curioso particolare: per aumentare lo sforzo mettevamo un peso in più sulle ginocchia. Questo peso era il piccolo Santo Federico, figlio di don Pepè, con suo grande divertimento, perché faceva “cavalluccio”, mentre noi ci allenavamo.

 

 

 

 

 

 

 

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