UNA STORIA FANTASTICA,
SENZA PRETESE, MA VEROSIMILE
Cap. 2
Un po’ di storia
Calabrese
La Calabria è stata da molti definita
come “terra in fuga da sè stessa”. “I paesi della costa sembrano
tante periferie di città che non esistono. E quelli dell’interno, sempre
più spopolati e isolati, si guardano da lontano e non convergono mai
verso un centro, hanno tante linee di fuga che non trovano un punto di
incontro. I paesi calabresi hanno tutti una seconda vita altrove: nel
passato, nelle Americhe, nell’interno, lungo le coste, altrove.” (Teti,
Il senso dei luoghi, Donzelli Ed.).La Calabria nella sua storia ha visto
l’alternarsi di numerosi popoli e culture provenienti da tutto il
Mediterraneo. Nell'antichità, i territori dell'odierna Calabria vennero
diversamente indicati col nome di Ausonia, per le proprie ricchezze; di
Esperia, perché situata per i Greci verso Occidente; di Enotria, terra
del vino; di Italia, dal re Italo o terra dei vitelli; di Magna Grecia,
perché più splendente della madre patria; di Bruzia, in quanto luogo di
insediamento del popolo dei Bruzi. Sotto i Bizantini nel VI secolo d.C.,
il nome Calabria, etimologicamente “terra d'ogni bene”, termine che fino
ad allora aveva indicato solo la zona del Salento, fu allargato a tutta
la regione.
La penetrazione micenea che interessò la
Calabria nei secoli che vanno dal XV° al XII° a.C., nel periodo
antecedente al cosiddetto Medioevo Ellenico, rappresentò il
presupposto della colonizzazione successiva. Fino all'avvento dei Bretti
nel IV° sec. a.C., le etnie stanziate nella attuale Calabria d’origine
orientale furono Enotri ed Ausoni: i primi stabiliti su gran parte del
territorio, compreso tutto il versante ionico, i secondi soprattutto sul
versante tirrenico, tra il territorio di Reggio Calabria, Tauriano ed il
retroterra di Crotone. Tra le popolazioni delle origini la più rilevante
e la più recente è senz'altro quella dei Bruzi, popolo affine ai Lucani,
dei quali erano schiavi. Ma discordanti sono le notizie delle fonti.
Per Strabone essi potevano essere sia
coloni sia discendenti dei Lucani, mentre per Diodoro Siculo i Bruzi
erano “una moltitudine di uomini di varia origine, per la maggior parte
servi fuggiaschi”. E' dovuto a questi popoli l’antico nome di Bruzio
nell’indicare tale regione. Essi, infatti, furono chiamati Brutii,
durante la guerra contro la Lucania, dagli stessi lucani per indicarli
come “servi fuggiaschi”.
A partire dall'VIII sec. a.C., la
Calabria viene interessata dal fenomeno della colonizzazione greca che,
pur riguardando gran parte del Mediterraneo, trova qui la sua massima
espressione, con la fondazione di colonie greche lungo le coste. Da qui
l’appellativo di Megale Ellas con il quale gli stessi Greci hanno voluto
indicare la forte caratterizzazione culturale e l'alto livello economico
raggiunto.
Varie fasi, con la supremazia di diverse
città, caratterizzarono questa epoca. Reggio Calabria fu la prima
colonia greca fondata dagli Ioni della costa sicula, poi un gruppo di
Achei fondò Sibari, quindi Crotone e Locri, il tutto dal 744 al 670 a.C.
Le colonie portarono nella penisola l'organizzazione socio-politica
della città, l'alfabeto, la moneta, anche se nella regione greca forti
erano le tensioni sociali dovute alla scarsità di terra ed alla sua
concentrazione nelle mani delle aristocrazie locali.
Le poleìs magno-greche sorsero in
prossimità di luoghi già interessati dalla frequentazione micenea. La
superiore cultura dei colonizzatori greci indusse via via una profonda
ellenizzazione delle comunità indigene che, confinati all'interno dopo
l’espropriazione delle loro terre, convissero con la nuova gente,
padrona di straordinarie tecnologie.
I greci designarono la punta della
penisola con il nome di "Italia". Itali, infatti, erano chiamati gli
abitanti della parte meridionale della Calabria, prima della conquista
romana. Quando Roma unificò in un solo dominio le varie regioni, il nome
di Italia si estese da sud verso nord, fino ad identificare al tempo di
Augusto, nel 42 a.C., tutta la penisola italiana.
I Bretti, tra la metà del IV° e la metà
del III° a.C. , attaccarono e conquistarono diverse città magno-greche,
sottraendo loro territorio e risorse. Contemporaneamente al declino
delle poleis magno-greche, stremate da continue lotte intestine e
all'ingerenza militare dei tiranni Siracusani, si assisteva all’ascesa
della potenza Romana. Le guerre puniche decretarono la fine della
potenza brettia e la loro scomparsa come etnia autonoma organizzata:
quasi tutto il loro territorio, con in testa Cosentia , faceva oramai
parte dell'Ager Romanus (II° e I° sec. a.C.).
Durante le guerre puniche la popolazione
locale si schierò contro Roma, ma cadde comunque sotto il dominio
dell'Impero, che dal 132 a.C., iniziò a fondare le sue colonie e, verso
il 260 a.C., estese il proprio dominio su tutta la regione. Il periodo
di dominazione romana è ben diverso dallo splendore della Magna Grecia.
Lo sviluppo sociale ed economico si arrestò per lungo tempo, con
ripetuti, ma vani tentativi da parte dei calabresi di ostacolare
l'occupazione dei romani alleandosi con Annibale.
I Romani strinsero la regione in una
morsa di ferro e cercarono di rimuoverne la cultura e le tradizioni,
soprattutto quelle magnogreche. Di quel periodo è la famosa repressione
dei baccanali, documentata dal celebre decreto senatorio del 186 a.C. ,
ritrovato nel 1640 a Tiriolo. Il culto di Dioniso, dio del vino e
dell'ebbrezza, era diventato un fenomeno di massa dopo gli effetti
sconvolgenti dell'invasione di Annibale.
Nel periodo augusteo la regione fu
chiamata Brutium, nome con il quale s’identificò fino alla conquista
bizantina. Con la nascita del latifondo romano e di aree malariche,
interi territori furono per secoli abbandonati dall’uomo. Tuttavia
vennero intensificate e migliorate le vie di comunicazione con la
costruzione, nel 132 a.C., della Via Popilia, da Capua a Reggio, che
diventò l'asse di sviluppo della regione, agevolando la traversata dello
stretto dalla Calabria verso la Sicilia. Nel 71 d.C. la regione fu
sconvolta dall’insurrezione di Spartaco che, rifugiandosi in queste
zone, arruolò seguaci dappertutto, soprattutto fra i Bruzi.
In questo periodo i romani iniziarono
un’opera di disboscamento della Sila e delle altre montagne della
Calabria, causando un dissesto oro-idro-geologico con frane e
smottamenti.
Dopo la caduta dell'Impero Romano la
Calabria fu saccheggiata dai Visigoti e dai Goti.
Successivamente, con l’avvento dei
Bizantini nel 535 d.C., si ebbe una ripresa economica generalizzata,
soprattutto in quei territori lungo la costa ionica in cui si venne a
creare una sorta di “angolo d’oriente”, in un ambiente naturalmente
predisposto. Tuttavia alla ripresa economica corrispondeva una forte
oppressione della popolazione, angariata da un sistema fiscale
estremamente rigido.
Tale periodo venne inoltre contrastato
dalle incursioni dei Longobardi, i quali per circa due secoli (VI-VII)
s’impadronirono di Cosenza, incorporandola nel Ducato di Benevento,
dando vita ad una serie d’unità amministrative dette gastaldati, e
fondando colonie militari come quelle di Longobardi e Mormanno. Per
diversi secoli, la Calabria diventò non solo un immenso campo di
battaglia ma una terra di mezzo, luogo di contemporaneo scontro ed
incontro tra diverse civiltà. Al X secolo corrisponde la restaurazione
del potere bizantino, con il disfacimento di quello longobardo dopo le
lotte contro gli imperatori germanici della dinastia Sassone, che per
secoli trasformarono la Calabria in un fortilizio contro le incursioni
dei saraceni che arrivavano dal mare. Nacquero e si potenziarono gli
insediamenti sulle alture, lontani dalle vie di comunicazione
principali, chiusi ognuno in sé, realizzati spesso disboscando interi
territori e quindi accentuando il dissesto idrogeologico
In questo periodo trovarono grande
sviluppo anche i monasteri: la regione divenne un ricco centro di
trasmissione della cultura antica attraverso la produzione di
manoscritti. A Rossano, ad esempio, si può ammirare il magnifico Codex
Purpureus Rossanensis.
Intorno all'anno 1.000 d.C. ai Bizantini
subentrarono i Normanni, guidati da Roberto dei Conti d'Altavilla, detto
il Guiscardo, cioè l'astuto, che in una diecina d'anni tra il 1050 ed il
1060 conquistarono tutta la Calabria, terra in piena decadenza,
risollevata dalla difesa contro le razzie dei saraceni e dal favore per
l’agricoltura e gli scambi, soprattutto con la Sicilia. Il loro governo
ordinato e sicuro, la riapertura dei traffici marittimi e terrestri,
l'appoggio alla latinizzazione del clero e al monachesimo benedettino
favorirono una notevole ripresa della regione che continuò poi anche
sotto gli Svevi (1214-66) grazie soprattutto a Federico II.
Ridimensionato lo strapotere dei feudatari, che nel 1129 furono
costretti a giurare fedeltà a Ruggero II, in Calabria si registrò una
ripresa dei commerci soprattutto grazie all’eliminazione dell'esoso
fiscalismo bizantino. Vennero create due circoscrizioni amministrative,
dette giustizierati: quello di Val di Crati, corrispondente con i
confini dell'attuale provincia di Cosenza, e quello della Calabria,
comprendente la restante parte di territorio. Fu scelta come capitale
Mileto, e vi furono costruiti la corte e la zecca, chiese e edifici
pubblici. Nell'opera di conquista del Mezzogiorno, i Normanni ebbero un
grande alleato nella Chiesa di Roma, che li aveva riconosciuti sovrani e
che in cambio ottenne il loro aiuto contro la Chiesa d'Oriente. In
Calabria, in modo graduale, venne sostituito il rito greco con quello
romano, furono costituite nuove diocesi e venne dato impulso alla
fondazione di abbazie degli ordini latini, a cui vennero riconosciuti
privilegi, prebende e poteri anche feudali. In questo modo i Normanni
portarono un nuovo sistema sociale ed economico che accompagnerà la
Calabria fino alla rivoluzione industriale: il sistema feudale.
Gli Svevi con Federico II, che prese il
potere quando in Calabria regnava l’anarchia baronale, ristabilirono
l’ordine e imposero che i privilegi feudali, l’amministrazione della
giustizia, la maggior parte dei commerci e la sicurezza dipendessero
esclusivamente dal sovrano, che regnava per volere di Dio ed era
strumento della Sua Provvidenza. Con mirabile equilibrio, riuscirono a
fondere elementi della cultura greca e latina, araba e bizantina,
normanna e sveva dando vita ad uno Stato accentratore, ma illuminato,
cattolico, ma tollerante verso musulmani ed ebrei, fieramente autonomo
dalla Chiesa di Roma, tanto che, per due volte, venne scomunicato.
Questi territori furono trasformati in
luogo di incontro di culture e civiltà diverse, I'Occidentale,
l'Islamica e la Greco-Ortodossa.
Alla morte di Federico II il regno passò
al figlio Corrado IV e successivamente al figlio illegittimo Manfredi.
Quando nel 1261 un vescovo francese divenne Papa con il nome di Urbano
IV, il regno di Sicilia venne confiscato, in base ad un diritto
legittimato dal fatto che i Normanni avevano ottenuto il regno
esclusivamente in qualità di concessione feudale del Papa per l’aiuto
datogli contro Longobardi e Bizantini, e motivato dal tentativo di
impedire l’unificazione dell’Italia settentrionale con quella
meridionale progettata prima da Federico II e poi da Manfredi. Urbano IV
offrì il regno a Carlo d'Angiò, fratello di Luigi IX re di Francia, il
quale conquistò l’Italia meridionale nel 1266, grazie alla vittoria
ottenuta nella Battaglia di Benevento. In questo periodo si verificò una
vera gara per l’accaparramento del potere da parte dei baroni: la
Calabria seguì una tendenza del tutto estranea a quella seguita dagli
stati europei, i quali si caratterizzavano come monarchie assolute. In
Calabria, invece, l’introduzione di nuove tassazioni pesanti e del
latifondo, fece del feudalesimo un sistema per controllare il
territorio, finendo per compromettere la prosperità della Calabria.
Dopo che il regno cadde in preda alle
guerre civili, dovute alle divisioni della famiglia angioina in diversi
rami rivali impegnate nelle lotte di successione gli Aragonesi
conquistarono l’intera Italia meridionale nel 1442 con il re Alfonso I
d’Aragona. Il nuovo sovrano, detto il Magnanimo, per i suoi metodi
tolleranti e accorti, si rese subito conto che non poteva contrapporsi
allo strapotere baronale, e preferì adottare una politica di
compromesso.
Durante il periodo in cui la popolazione
intensificò il suo ritiro sulle colline e sui monti, da un lato per
sfuggire dalla malaria, dall’altro, e soprattutto, per sottrarsi alle
incursioni dei pirati prima saraceni e poi turchi, lungo tutte le coste
calabre.
Tale fenomeno di fuga creò isolamento
esterno ed interno, con centri abitati sorti sulle alture e nelle
vallate privi di vie di comunicazione e con sentieri impraticabili per
tutta la stagione invernale. Al momento dell'Unita' d'Italia, nel 1861,
la Calabria era dotata di una sola strada che l'attraversava da nord a
sud fino a Reggio Calabria, la ferrovia era inesistente ed il 90% dei
Comuni era senza strade interne ed esterne. Lo stesso sistema fiscale fu
mantenuto dagli Aragonesi, che lasciarono il governo della regione ai
baroni locali, con un proliferare di abusi di potere e prepotenze che
prostrarono ulteriormente la popolazione, causando una serie di rivolte
contadine, fino alla famosa sommossa di Tommaso Campanella del 1599.
Nel XVIII secolo una terribile carestia e
un fortissimo terremoto piegarono la Calabria dei Borboni, che nel
frattempo erano saliti al potere, nonostante le beghe di Gioacchino
Murat, che tentò di riprendersi il Regno. Accolto con ostilità, venne
prontamente imprigionato e fucilato il 13 ottobre del 1815 nel Castello
di Pizzo.
Ferdinando IV, ritornato sul Regno, lo
chiamò delle Due Sicilie, diventò Ferdinando I e promulgò i codici che
furono ben presto considerati come i migliori d'Europa. Egli abolì il
diritto del maggiorasco per ampliare i trasferimenti della proprietà
terriera e nella regione istituì una nuova provincia, dividendo quella
Ulteriore in Prima, con sede a Catanzaro, e Seconda, con capoluogo
Reggio.
Egli dovette fare fronte al primo
tentativo insurrezionale del Regno, che scoppiò a Nola. Per reprimere la
sommossa il re inviò il generale Guglielmo Pepe, che si unì agli
insorti, costringendo Ferdinando I a concedere una Costituzione e a fare
eleggere un'assemblea legislativa.
Il 18 aprile del 1853, Ferdinando II
decretò l'istituzione di due "Casse di Prestanze Agrarie" che
rappresentarono il nucleo originario di quella che diventò nel 1861 la
Cassa di Risparmio di Calabria, che avrebbe svolto una funzione
fondamentale per lo sviluppo della regione
Tuttavia durante questo secondo periodo
borbonico si registrarono in tutta la Calabria importanti cambiamenti:
la quasi completa possibilità di esercitare gli usi civici che
consentivano a larghe masse di contadini di utilizzare i vasti demani
della Sila e del Marchesato; la popolazione aumentò notevolmente; nelle
montagne delle Serre funzionavano le Regie Ferriere con quasi 2 000
operai. Nel 1859, Ferdinando II moriva. Gli successe il giovane figlio
Francesco II. L’arrivo di Garibaldi nel 1860 e l'avvento del Regno
d'Italia, al quale fu annessa anche la Calabria fecero da sfondo alla
piaga del brigantaggio, una forma di banditismo caratteristica delle
situazioni di instabilità sociale e politica. Già presente nel mondo
romano nella tarda età repubblicana e, più accentuato, nel basso impero,
si manifestò in forma virulenta con la crisi finale del feudalesimo. Il
suo riacuirsi nel Mezzogiorno d'Italia tra fine Settecento e primi
dell'Ottocento fu dovuto ad un intreccio di motivazioni sociali,
nazionali, religiose e politiche. Represso duramente, sotto Murat,
ricomparve con caratteristiche di massa dopo l'unificazione italiana,
investendo in forma gravissima l'intero meridione tra il 1861 ed il
1865.
L'espugnazione di Gaeta decretava la fine
dei Borboni. Il nuovo status nazionale mise a nudo un'infinità di
problemi: primo fra tutti la presenza di un nuovo stato e quindi di un
nuovo ordine. Lo stato nazionale fatto di leggi, di diritti ma anche di
doveri era per i più incomprensibile. Il clero ricco istigava nei
poveri il concetto che lo stato fosse anticlericale, perché voleva la
fine del papato e dei benefici della chiesa. Nel mezzogiorno e nelle
isole le condizioni di vita, il livello dell'educazione e quello del
reddito erano molto bassi, specialmente nelle zone interne scarsamente
collegate.
Nel 1860, alla caduta del regime
borbonico sconfitto dall'esercito dei volontari garibaldini, il
Meridione fu annesso agli altri Stati già sotto il dominio di Casa
Savoia e si presentò all'appuntamento unitario in condizioni di profonda
arretratezza e di grande squilibrio sociale. L'iniziativa garibaldina
aveva alimentato nelle masse meridionali concrete speranze di un
radicale rinnovamento della società locale, ma il nuovo governo del 1861
era l'espressione della borghesia, che affrontò la questione meridionale
stipulando un patto di alleanza fra i ricchi possidenti del Nord e i
proprietari terrieri del Sud, senza prendere in considerazione la tanto
desiderata riforma agraria voluta dai contadini del Sud. Lo Stato impose
invece una rigida centralità amministrativa introducendo pesanti
regolamenti che andavano a gravare sui più deboli
Il brigantaggio, quindi, fu un momento
storico di forte rivoluzione contro le misure amministrative e fiscali
di particolare durezza e la completa abolizione degli usi civici delle
terre a vantaggio del latifondo che furono diretta conseguenza
dell’unificazione italiana.
Dopo l’annessione del Regno delle due
Sicilie al Regno d'Italia, infatti, sulle popolazioni calabresi si
abbatterono la tassa comunale e la provinciale, la tassa di famiglia e
quella sul macinato, oltre all'inimmaginabile tassa di successione e
all'impensabile leva obbligatoria. Era davvero una rivoluzione, che a
quel tempo veniva meglio definita dalle popolazioni calabresi, come
"repubblica", in quanto sinonimo di disordine.
I banditi cosiddetti "sociali" si
opponevano alle forze oppressive di proprietari terrieri, uomini di
legge, rappresentanti dei governi e non erano considerati criminali
dalla popolazione rurale, che li vedeva come giustizieri e benefattori
dei poveri. Erano, di solito, abitanti delle campagne non legati
stabilmente alla terra (pastori oppure abitanti di zone sovrappopolate e
con limitate risorse) che potevano agire liberamente anche in quei
periodi dell'anno in cui la popolazione rurale era impegnata nei lavori
agricoli. Ad essi si aggiunsero numerosi ex soldati borbonici e
delinquenti evasi, che avevano combattuto tra i volontari durante la
Spedizione dei Mille nella speranza di una amnistia mai concessa.
Le bande di briganti si ingrossarono
rapidamente, dando vita a episodi di violenza ed all'occupazione
temporanea di interi centri, aiutati dagli strati più bassi della
popolazione, forti delle simpatie, dell'appoggio, dell'omertà che
sapevano di trovare nelle classi più umili. La Sila divenne il centro
del brigantaggio, mentre a decine i comuni calabresi issarono il bianco
vessillo gigliato dei Borbone. Tantissime bande operavano nel cosentino
e nel catanzarese. Tra queste le più famose quelle di Pietro Monaco, di
Pietro Bianco, di Nino Nanco, di Faccione. Le leggi eccezionali Pica del
1863, che esclusero la provincia di Reggio, non frenarono lo sviluppo
del banditismo, che si diffuse anche nei comuni dell'alto nicastrese.
Contro il fenomeno fu istituito lo stato di guerra con la
militarizzazione del territorio e furono costituite Guardie nazionali
per tutelare l’ordine pubblico, con il ricorso anche alla pratica delle
taglie in caso di arresto di elementi ritenuti pericolosi.
L'Italia era nata e come primo risultato
otteneva quello di indurre molti cittadini ad espatriare. E le cause che
avevano provocato il brigantaggio, più alcune nuove, furono i motivi di
questo vasto fenomeno che stravolse la società calabrese insieme ad una
emigrazione massiccia.
Durante tutto il secolo partirono quasi
280.000 persone, quasi tutte per gli Stati Uniti. Dal 1901 al 1913, su
una popolazione media di circa 1.400.000 abitanti, abbandonarono la
regione in 439.000. Di essi ritornò meno di un quinto. Anche stavolta il
flusso migratorio, che si bilanciava con l'aumento delle nascite, si
indirizzò nella quasi totalità verso gli Stati Uniti, l'Argentina e in
misura più ridotta, il Brasile. Fu un esodo che provocò la prima grande
trasformazione della regione: economica, culturale, politica. A causa
della povertà diffusa la popolazione della regione Calabria praticamente
si dimezzò.
Successivamente lo sforzo dei Governi
nazionali, l’avvento del Fascismo e dell'industrializzazione, nonché gli
imponenti investimenti nella realizzazione di numerose opere pubbliche,
sembrarono ridurre le radici sociali del banditismo grazie all'aumento
del reddito rurale e alla diminuzione della popolazione nelle aree più
povere, rendendone anche più facile la repressione con il miglioramento
delle comunicazioni nelle campagne, che comportava una più difficile
esistenza clandestina di gruppi armati.
Tra il 1926 ed il 1931 investimenti
cospicui interessarono il settore delle opere pubbliche: opere di
bonifica, costruzioni stradali, ricostruzione dei centri terremotati.
Nel 1929 furono conclusi i 1000 chilometri di strade calabresi. Venne
ampliata la rete ferroviaria interna.
In questi anni numerosi comuni vennero
aggregati per dare maggiore efficienza organizzativa e nacque così la
"grande Reggio" che comprese i centri vicini, diventando una delle prime
venti città del Regno.
Nel 1923 veniva inaugurato il Parco
Nazionale della Sila. Furono creati i laghi artificiali dell'Ampollino,
del Savuto, del Cecita e dell'Arvo che producevano un'imponente massa
d’energia elettrica.
Dopo la caduta del Fascismo, il primo
problema da affrontare era quello della terra, in una regione dove gli
addetti all'agricoltura erano il 63% della popolazione attiva. La
riforma agraria predisposta dal Ministero De Gasperi diede vita a un
esempio di redistribuzione della proprietà. Sempre nel 1950 venne
istituita la Cassa per il Mezzogiorno per creare una rete di
infrastrutture e promuovere lo sviluppo economico delle aree depresse.
Inoltre si aggiunse nel 1955 una legge speciale che si proponeva la
realizzazione di un piano organico per la sistemazione del suolo. Con
queste risorse sono state realizzate strade, scuole, acquedotti,
fognature, asili e tante opere pubbliche indispensabili per migliorare
la qualità della vita nei paesi calabresi. Continuava l'esodo
migratorio, indirizzato solo nei primi tempi verso l'Europa e, in modo
più consistente, verso il triangolo industriale del Nord Italia, dove si
stima che, dal 1958 al 1967 emigrarono oltre 700.000 calabresi.
(da
www.dirittisociali.org di Chiara Castri)
(Vai
al Capitolo 3)
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