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PERSONAGGI FOSSATESI
La
storia di Fossato è stata scritta nel bene e nel male da gente comune:
contadini, braccianti, qualche professionista, qualche insegnante. Comunque
attori diretti e indiretti della evoluzione economica, sociale e culturale
del paese. Per quanto la mia memoria ricordi, senza fare torto a nessuno,
per gli anni che vanno dagli anni 50 agli anni 70, i personaggi famosi a mio
giudizio possono essere:
ANTONINO TRIPODI
L'Ufficiale Postale:
Andando nei primi anni cinquanta l'Ufficio Postale di Fossato era
situato al piano terra dell'abitazione del responsabile, il
Cavaliere Antonino Tripodi
(nella foto), Era uomo di affari già all'inizio del secolo; il suo
mestiere era comprare e vendere bestiame, in particolare maiali.
Raggiunta una certa posizione economica, agli inizi del '900 ebbe
l’appalto dal Regio Ministero delle Poste per la distribuzione della
posta nel paese. Nel 1908 fu aperto il primo
Ufficio Postale. Fra
poco saranno cento anni. Si dice che per avere un appalto del
genere, oltre a una certa liquidità bisognava offrire anche certe
garanzie. Per questo "U Zzifficiali" negli anni ebbe tre mogli e
tutte maestre di scuola elementare che, essendo dipendenti dello
stato, il loro stipendio faceva da garanzia. Per diversi anni
l'ufficio postale si trovava alle "Barracche" di Via dei Martiri. Lì
avevano sede il Municipio e il presidio dei Carabinieri. Il
mio è un lontano ricordo du ZZi Don Ninu, ma abbastanza lucido. Una
figura robusta e apparentemente rude, ma con gesti di affetto e
rispetto verso tutti. Negli anni l'appalto divenne stabile, egli
poteva assumere personale e collaboratori. L'Ufficio in seguito fu
trasferito presso la sua abitazione. Ricordo tra i dipendenti degli
anni '50 Antonio Calabrò, mio zio, nonché nipote del Cavaliere. E un
giovanotto robusto, Giuseppe Federico, che diventerà poi a sua volta
Direttore dell'Ufficio. In quella sede allora il pubblico aveva
pochissimo spazio. Una volta varcato l'ingresso ci si trovava già
allo sportello, aperto su una parete di legno, e davanti agli
impiegati. Alle braccia avevano delle strane mezze maniche di stoffa
nera, indossate per evitare di sporcarsi le giacchette e le camicie.
A quei tempi di inchiostro liquido per timbri e penne se ne usava
parecchio. La polvere faceva da padrona tra i registri, sui tavoli e
negli scaffali. Ricordo un strano ticchettio che in alcuni momenti
invadeva l'Ufficio: il telegrafo. Tutti i messaggi ed i telegrammi
(non c'era ancora il telefono) venivano inviati ad altri uffici con
questo apparecchio ed il ticchettio scandiva le lettere
dell'alfabeto Morse (_._, .._._._, _ _..). |
Cav. Antonino Tripodi |
Il Postino:Mastro
Consolato Pellicanò (nella foto). Piccoletto e grassottello, dalla
voce "mungarusa", le mani tozze e deformate dall'artrite e
dall'acido urico. Ogni giorno distribuiva la posta: la mattina nel
centro paese ed il pomeriggio nelle frazioni. Quando ti incontrava
per strada diceva: <Te’, portinci sta littira a to patri>. A
piedi con la caratteristica camminata ciondolante e il voluminoso e
pesante borsone colmo di lettere, bollette, cartoline. Era
coadiuvato o sostituito talvolta dalla moglie “a cuggina Rosa". Per
parecchi anni a piedi (ho saputo che aveva acquistato una lambretta
mai usata), poi con la bicicletta solo per il trasporto del borsone,
naturalmente. Negli anni '70 accompagnato in macchina (una Fiat 500
bianca) da sua figlia. Allora le lettere, i pacchi, le bollette
arrivavano sempre puntuali! A metà degli anni '40 il Dr. Paolo
Tripodi, medico e letterato, così scriveva:
Paraponzi, paraponzipò
ora tocca a Pellicanò,
è l'eterno fidanzato
che si chiama Consolato;
tondo, tondo e piccolino,
fate largo è il postino!
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Consolato Pellicanò |
Il Dottor Francesco Gullì
La sua passione, i cavalli
Di medici
fossatesi ce ne sono stati diversi. Ho sentito parlare di "U Maru
Medicu Guddhì", ho conosciuto nella mia infanzia il dottor Paolo
Tripodi che abitava in Piazza Leone Sgro, ma di cui ricordo poco. So
che era un buon medico, si dilettava di lettere ed era famoso per i
suoi scritti teatrali, per i suoi articoli pubblicati sulla Tribuna
de Mezzogiorno e specialmente per essere stato il primo ad avere un
apparecchio radio. I racconti sui comunicati di Radio Londra durante
la guerra ascoltati da tanti fossatesi sono numerosi. Ma il medico,
anzi i medici che ho conosciuto sono tre. Il dott. Antonio Gullì,
suo fratello Francesco e il dott. Carlo Calabrò. Nella mia
fanciullezza tutti e tre, giovani laureati, esercitavano la
professione in paese. I fratelli Gullì avevano l'ambulatorio nel
palazzo Piromallo, "a Turri", un ampio salone a piano terra che dava
sul piazzale antistante. In quella stanza ho visto per la prima
volta un camice bianco, il lettino medico, l'apparecchio per la
pressione e i primi strumenti chirurgici. Il fratello grande si
trasferì ben presto a Reggio e in paese rimasero due medici che più
o meno in parti uguali si spartivano la clientela (i libretti). Il dott. Francesco Gullì, uomo robusto e ben piantato, di
carattere spigoloso, buon diagnosta e terapeuta. Ogni qualvolta che
le nostre mamme, da bambini, ci portavano da lui per le nostre
malattie, le nostre sbucciature, o per qualcosa di più serio, le sue
prime parole rassicuranti erano: <non ti schiantari, è na cosa i
nenti, na muzzicatina i pulici, ora nci mintimu nu pocu i
spritu, nu pocu i 'nguentu, ti pigghji a medicina e ti passa>.
Affettuoso e paternalistico con noi ragazzi, ma burbero e rigoroso
nei suoi rimproveri. Aveva
la passione per la caccia
e per gli
animali in genere, per i cavalli e i cani in particolare. Ricordo il
pony che aveva regalato al figlio e un gigantesco cavallo dagli
zoccoli poderosi che scaldavano i muscoli ogni giorno nel piazzale
della Torre. Ricordo anche che teneva sulla stradina interna del
palazzo un corvo legato alla catena. Aveva imparato a chiamare la
servitù, in particolare una ragazza (allora) di nome Rosa. Durante
il giorno era facile sentire chiamare Rrhoosa, Rrhoosa.
Imitava la voce del padrone e di sua mamma, "a Signurina" alla
perfezione. Fino a un paio di anni fa, forse l'ottava o la nona
generazione di questo volatile, guaiva e abbaiava come i cani a ogni
minimo rumore strano.
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La Mamma del Dottore Gullì
La Signorina Cristina Nucera
Il dottore Gullì da giovane
Il Dottore Gullì in età matura
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Don
Gilormo
Salvatore aveva un amore inestinguibile per il paese. Tanto da
tornarci a chiudere i suoi giorni e a far riposare le sue ossa sotto
la terra amica. Grande affabulatore, poeta, cantore, menestrello, di
grande
compagnia ed altruismo
e
abile cacciatore.
E grande amico e ospite inarrivabile: la sua porta era aperta a
tutti. Tutti, anche i forestieri, conoscevano la sua casa. Ma fu
intrepido emigrante, in Europa e in America. Per lunghi anni.
Conobbe paesi lontani e città straniere, si mescolò a tutte le
genti e dopo aver girato e vissuto tornò finalmente a casa. Ora
riposa quieto al cimitero. Vicino alla sua gente.
Don Gilormu Salvatore
“Cuginu Gilormu, non ‘mbiviti, chi no 'ddimura assai chi vi
‘ndi jiti!”
“Mi ’ndi vaju, e a
ttia 'ssa 'mbasciata cu ta mandau?”
“Cu ma
mandau, mandau.”
"E idhu dici tu chi
moru viatu? Non è di pussibbili. E sa’ pirchì? Arsira fici patti cu
Berzabù mi stiru l'anchi quandu jhaccu dhu ‘ccipparedhu a piditati.”
U ‘ccippu è dha e
Gilormu si ‘ndi jiu.
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La sua casa
U ‘ccippu du cuginu Gilormu |
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